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Scienza e società
Dicotomia o sinergia?

La tematica del rapporto fra scienza e società appare come una tipica prova da esame di licenza secondaria superiore.
La scienza, infatti, è un prodotto culturale, teorico o applicato, proprio della società; prende origine da una parte di essa, in funzione del suo stato di evoluzione e progressione, ma giunge a produrre dei contenuti che retroagiscono più o meno profondamente con la società che li ha generati.
I positivisti del XVIII secolo vedevano un incontrovertibile feedback positivo del pensiero scientifico sul miglioramento sociale, sull’innovazione delle tecniche, quindi sullo sviluppo e sul progresso collettivi. Qualche altro moderno pensatore, tuttavia, potrebbe oggi ritenere, non a torto, che l’applicazione tecnologica di determinate scoperte ha portato ad effetti negativi, se non addirittura catastrofici, per una parte della società umana. Si pensi alle differenti applicazioni delle scoperte di fisica atomica, che hanno partorito nefaste tecnologie belliche (feedback negativo), ma anche importanti metodologie di produzione energetica o applicazioni di diagnostica e terapia medica.
Scienza, dunque, figlia legittima della società che l’ha prodotta. Dalla fisica alla chimica, dalla biologia alla medicina, dall’astronomia alla geologia, tutte accomunate da una metodologia e da un linguaggio rigoroso ed universale (matematica e statistica), rappresentano lo spettro multi- e interdisciplinare in continua espansione, tanto in termini di ricerca di base quanto in termini di ricerca applicata. Non esiste ambito sociale nel quale una scienza sperimentale non abbia delle ricadute.
Le scienze sperimentali si possono certo inquadrare come una delle forme più alte di esperienza umana, cioè di trasmissione alle future generazioni di conoscenze (principi, leggi, teorie) rigorose, riproducibili, ma mai dogmatiche, quindi sempre relative e verificabili. Non si ammette l’inconoscibile, bensì il non ancora conosciuto: questo uno degli aspetti più silenziosamente dirompenti per la nostra società occidentale. Previsione di fenomeni o esiti di fenomeni futuri: questo un altro aspetto pacificamente rivoluzionario del pensiero scientifico. La previsione rigorosa del futuro, anche nel caso di complessi processi multivariati e multifattoriali (clima, ecologia, genetica, …) contrasta con le numerose forme di maliziosa superstizione che ingrassano eserciti di maghe ed astrologi.
Ma quali i confini o limiti del sapere scientifico? I cinque sensi non sono più un limite, poiché astrazioni del pensiero teorico, congiuntamente a strumentazioni sempre più sofisticate, hanno consentito di prevedere e conoscere fenomeni ben oltre le immediate capacità sensoriali delle nostra specie; matematici teorici, astronomi e fisici quantistici ne hanno dato glorioso esempio, nel corso dei due ultimi secoli. È concorde tuttavia l’opinione che per la scienza applicata dovrebbe esistere una deontologia, proprio perché siamo ben in grado di ipotizzare le ricadute negative che certe applicazioni tecnologiche possono avere nel futuro a breve o a lungo termine. La “morale” e l’”etica” sociale del pensiero scientifico sperimentale consisterebbero, allora, nella capacità di ridurre la “retroazione” negativa che l’applicazione volontaria e, sovente, lucrosa di certe conoscenze comporterebbe, favorendone, di contro, le ricadute positive sulle differenti società del mondo globalizzato, anche le meno avanzate.
Similmente all’evoluzione biologica, l’evoluzione della cultura scientifica, parte dei saperi umani, consente il miglioramento della società umana, intesa come insieme di individui tra i quali intercorre un flusso di informazioni ed esperienze. Se tale “evoluzione” scientifico-culturale era limitata fino a pochi decenni or sono ad una regione o ad una nazione occidentale, dagli anni ’60 in poi anche questo processo si è globalizzato, ripercuotendosi su molteplici realtà sociali, con effetti di rapida accelerazione di conoscenze e mutamenti non sempre prevedibili e indolori.

(Andrea Cosentino)


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