Nov 012015
 

Il Molise non è una regione meta del turismo internazionale ed anche moltissimi italiani ignorano le sue ricchezze naturali, paleontologiche, archeologiche, storiche ed artistiche. Una regione che vale la pena visitare con calma ed attenzione perché riserva molte piacevoli sorprese.

panorama

 Ad Isernia molto interessante è il Museo Nazionale del Paleolitico “La Pineta”. Nel 1978 durante la costruzione della superstrada Napoli-Vasto, fu scoperto un antichissimo accampamento risalente a 700.000-600.000 anni fa che sorgeva accanto al paleoalveo del fiume Carpino. La scoperta ha permesso di ampliare le conoscenze scientifiche sulle attività di esseri umani che si collocano in uno stadio fra H.antecessor e H.heidelbergensis.

L’unico resto umano che si è trovato è il dentino di un bambino di circa 5 anni, ma gli abbondanti manufatti litici e i resti di animali cacciati fra cui si possono distinguere bisonti, elefanti, rinoceronti megaceri, ippopotami, orsi, ne fanno uno dei siti più importanti del primo popolamento del nostro continente.

Gli abitanti del sito cacciavano e macellavano gli animali con strumenti litici provenienti dal territorio di cui avevano una buona padronanza.

Le strutture che si possono visitare comprendono il padiglione degli scavi che sono tuttora in corso su un’estesa superficie e l’annesso museo che descrive l’attività di scavo e l’ambiente in cui vivevano i lontani abitatori del sito.

Una riproduzione di un Elephas antiquus, di capanne e ripari  e numerosi supporti multimediali consentono un approccio didattico e divulgativo agli studi archeologici in corso.

Per informazioni: http://archeologicamolise.beniculturali.it/index.php?it/215/museo-nazionale-del-paleolitico-di-isernia-la-pineta

 elephas antiquus

Elephas antiquus (ricostruzione)

 A circa venti chilometri da Isernia l’interessante cittadina di Venafro ospita il Parco Regionale dell’ Olivo di Venafro un Sito di Interesse Comunitario che consente comode passeggiate tra gli splendidi oliveti che si estendono sulle pendici dei monti Corno e Santa Croce, primi contrafforti delle Mainarde.

L’olio di Venafro era ben noto nell’antichità, è sicuramente il più citato dagli autori antichi. Per Marco Porcio Catone (II sec. a. C.) gli oliveti di Venafro rappresentano un modello ideale per questa coltura, del resto parlava con cognizione di causa perché possedeva una villa rustica nel territorio.

Plinio nel “De Oleo” afferma che a Venafro spetta il primato mondiale dell’olio grazie alla celeberrima oliva liciana. Ed ancora Orazio nelle “Odi” ritiene impareggiabile l’olio venafrano nelle salse; lo citano anche Varrone, Virgilio, Strabone, Marziale e Giovenale che nelle Satire ironizza sul ricco Virrone che sul suo pesce versa olio di Venafro, mentre all’ospite serve olio lampante.

La superficie coltivata ad olivi è ancora considerevole anche se notevolmente ridotta negli ultimi decenni a causa degli abbandoni e degli incendi; si possono incontrare esemplari pluricentenari.

olivo

 Vi sono coltivate varietà autoctone come l’Aurina forse da identificare con la “Licinia” dei romani.

Le rupi calcaree spesso a strapiombo ospitano numerose specie di rapaci come il lanario e la poiana; dove finiscono gli oliveti si incontrano boschi soprattutto di roverelle.

I percorsi a piedi portano a esplorare anche resti di mura sannitiche e poi romane che formavano una triplice cerchia di fortificazioni intorno a Venafro. La caratteristica Torricella che si nota su uno sperone di roccia faceva parte di un sistema di avvistamento e controllo della pianura sottostante. Si possono vedere anche i resti di una villa romana e quelli dell’Anfiteatro e del Teatro romano.

Interessante è anche la visita alla cattedrale romanica situata alla periferia della cittadina, all’imbocco del parco degli olivi, risale al XV secolo.

cattedrale di Venafro Cattedrale di Venafro

Il massiccio del Matese, (http://www.matese.org/) al confine fra Molise e Campania, è uno dei più importanti dell’Italia peninsulare per l’estensione, la ricchezza delle acque che ne scaturiscono e l’altezza dei suoi monti alcuni dei quali sfiorano i duemila metri. Su queste alture combatterono e morirono gli ultimi sanniti prima di essere sconfitti dai romani (III secolo a.C.).

La natura carsica del massiccio dà origine a molteplici fenomeni di carsismo sia superficiale che profondo: bacini, doline, voragini. Il lago del Matese, con i suoi 1011 m slm, è il bacino carsico più alto d’Italia, posto ai piedi delle vette maggiori del massiccio: il monte Miletto e il monte Gallinola. Fra la vegetazione palustre delle sue rive trovano rifugio numerosi uccelli acquatici.

Lago del Matese

Lago del Matese

Nelle faggete del comune di Campochiaro si aprono numerose cavità, la più importante è il Pozzo della Neve la grotta più profonda del’Italia meridionale (-1048 m, sviluppo circa 9000 m). Se verranno scoperte le comunicazioni con altre grotte molto vicine può costituire uno dei più estesi complessi sotterranei d’Italia con uno sviluppo di circa 30 km. Le cavità erano conosciute fin dai tempi antichi e sfruttate come deposito per la neve che veniva poi venduta a valle. Dagli anni cinquanta del secolo scorso sono iniziate le esplorazioni speleologiche che proseguono tuttora attirando speleologi da tutta Europa.

 Pozzo della Neve

Pozzo della Neve

Le Riserve della Biosfera diCollemeluccioeMontedimezzo (http://www.assomab.it/aree-mab/mab-montedimezzo.html) nei comuni di Carovilli e Pescolanciano, fanno parte di una rete mondiale nell’ambito del programma MaB, (Man and the Biophere) avviato nel 1971 dall’UNESCO con lo scopo di mantenere un equilibrio duraturo fra l’uomo e il suo ambiente attraverso la conservazione della biodiversità, la promozione dello sviluppo economico e la salvaguardia dei valori culturali.

Numerosi sentieri facili e ben segnalati, alcuni percorribili anche da portatori di handicap, attraversano le due riserve gestite dal Corpo Forestale dello Stato. Si attraversano splendide faggete, a quote più basse crescono anche cerri, aceri, carpini, frassini.

faggeta

Nel Centro visite di Montedimezzo un’interessante esposizione mostra le piante e gli animali delle due riserve. Nei pressi ampie gabbie e recinti ospitano la fauna che per diversi motivi non può essere rimessa in libertà: cervi, daini, tartarughe, rapaci.

Lungo uno dei sentieri di Colledimezzo si può attraversare la faggeta ed arrivare ad uno degli alberi monumentali italiani, soprannominato “Re Faione” un enorme faggio di circa 500 anni, un vero patriarca della foresta che misura 25 m di altezza e 6,40 di circonferenza.

re Faione

Re Faione

Un modo singolare di attraversare la regione è lungo i tratturi, le “autostrade verdi” percorse fin dalla preistoria dagli armenti delle popolazioni italiche, la cui economia era basata soprattutto sulla pastorizia. Per trovare foraggio per tutto l’anno compivano due migrazioni, in autunno dai monti dell’Appennino centrale al Tavoliere delle Puglie e in primavera di nuovo sui monti, seguendo i corsi dei fiumi Sangro, Biferno, Trigno. I principali sono il Celano-Foggia (207 Km), il Castel di Sangro-Lucera (127 km), il Pescasseroli- Candela (211 km), che attraversano l’intera regione. Sono stati utilizzati per le greggi fino agli anni 50 del secolo scorso, attualmente i capi vengono invece trasportati con i camion soprattutto per le lunghe distanze.

Recentemente i tratturi sono stati rivalutati e inseriti in percorsi naturalistici da farsirsi a piedi, in bicicletta o a cavallo. Sono ben segnalati lungo le carrozzabili e se ne possono percorrere brevi tratti o tratti più consistenti in un bel paesaggio ondulato di prati e boschi, senza grandi dislivelli.

tratturo

 Nel Medioevo castelli e torri sorsero a difesa di paesi sorti lungo i luoghi di sosta, a volte su vecchi insediamenti sanniti come nel caso di Saepinum importante centro prima sannita poi romano.

 Il paese di Capracotta a 1421 m slm è uno dei comuni più alti d’Italia ed è considerato il più nevoso. Frequentato per turismo estivo e invernale ospita un bel Giardino della Flora Appenninica  (http://www.ortobotanicoitalia.it/molise/capracotta/). Fu istituito nel 1963 da un’idea del professor Valerio Giacomini, vi vengono conservate e tutelate le specie vegetali autoctone dell’Appennino centro-meridionale.

 Articolo e foto di Alessandra Gaddini

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