Mar 202014
 

L’importanza di un autore si misura anche dalla duratura influenza sui dibattiti che proseguono dopo la sua scomparsa. L’elemento più significato dell’articolata eredità lasciata da Stephen J. Gould, spentosi nel maggio del 2002 a New York ma ancora oggi fra i più citati evoluzionisti nell’arena internazionale, è il suo carattere innovatore e anticipatore. Abilissimo nell’unire ricerca sul campo e slancio teorico, già nella seconda metà degli anni sessanta, all’epoca del dottorato alla Columbia e all’American Museum of Natural History con Norman Newell, aveva centrato le sue attenzioni sul tema eterodosso delle allometrie, delle correlazioni nella variazione e nella crescita, dei vincoli strutturali e di sviluppo.
Nel 1972, insieme a Niles Eldredge, proponeva un’estensione della teoria della speciazione allopatrica di Ernst Mayr, generalizzandone il significato sia in termini di tempi e ritmi dell’evoluzione (lunghe fasi di stasi apparente a livello paleontologico, punteggiate da bruschi episodi di innovazione morfologica in coincidenza con processi di speciazione rapida) sia in termini di modi
della speciazione (non soltanto un lento accumulo di variazioni divergenti in popolazioni nella stessa regione, ma anche separazioni ramificate rapide dovute alla distribuzione biogeografica delle popolazioni). Gli “equilibri punteggiati” verranno poi inseriti in una visione più ampia, di tipo ecologico e naturalistico, delle unità di evoluzione: non soltanto geni e individui, ma anche gruppi, popolazioni, specie, insiemi di specie. L’evoluzione letta non soltanto lungo l’asse del tempo, ma anche nello spazio fisico, ecologico e geografico.

Telmo Pievani (Le Scienze naturali nella Scuola n° 50)

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