Mar 292014
 

La prima descrizione fisica delle macchie da parte di Galilei nel 1612, nel corso di una controversia con l’astronomo-gesuita Scheiner. Una rievocazione storica e una proposta osservativa per le scuole, proprio nel periodo in cui il Sole si accinge a toccare il massimo dell’attività nel suo ciclo di undici anni. Quattro secoli fa, il 12 maggio 1612, Galileo Galilei (Fig. 1), dopo avere scoperto
col suo cannocchiale i mutevoli fenomeni osservabili sulla superficie del Sole, scriveva all’amico Federico Cesi, il naturalista
e fondatore dell’Accademia dei Lincei:
“Sto aspettando di sentir scaturire gran cose dal Peripato per mantenimento della immutabilità dei cieli, la quale non so dove
potrà essere salvata e celata, già che l’istesso sole ce l’addita con sensate manifestissime esperienze: onde io spero che le montuosità della luna sieno per convertirsi in uno scherzo et in un solletico, rispetto a i flagelli delle nugole, de i vapori e fumosità, che sulla faccia stessa del sole si vanno producendo, movendo e dissolvendo continuamente”.
In parole più semplici, Galilei, dopo avere scoperto le montuosità lunari, i satelliti di Giove e le fasi di Venere, scuotendo
le certezze sulla purezza e l’immutabilità dei cieli dei filosofi aristotelici (o peripatetici), ora ironizzava su come loro avrebbero potuto giustificare le nuove evidenze delle macchie che si andavano formando e dissolvendo in continuazione sulla superficie del Sole.

Autore: FRANCO FORESTA MARTIN

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