ANISN - scienze a scuola
Associazione Nazionale Insegnanti
di Scienze Naturali
Mappe sismiche nazionali e comuni a rischio in regione: ecco come stanno le cose
inserito il: 18 gennaio 2007

Allegato: Gli esperti in terremoti fanno chiarezza.doc



Da “il Piccolo” di Trieste del 10/11/02

Gli esperti in terremoti fanno chiarezza.
Giambattista Carulli, Dario Slejko, Marcello Riuscetti. Responsabili scientifici Gruppi per la redazione della mappa del rischio sismico.

Come sempre e ovunque succede, quando un terremoto provoca danni e vittime, un mare di informazioni, dichiarazioni, interviste, cronache viene riversato sull’opinione pubblica. Tutto ciò, e non potrebbe essere diversamente, costituisce un insieme di fatti, ipotesi, illazioni, “verità scientifiche” e altro che difficilmente si trasformano in informazione utile.
Va anche detto che, a nostro parere, la situazione negli ultimi vent’anni è migliorata. Molto giornalisti si sono fatti sul campo un’esperienza notevole, il numero di ciarlatani con udienza sui mezzi di comunicazione è diminuito, alcune amministrazioni (poche, troppo poche, per la verità) hanno iniziato una politica di prevenzione corretta e di lungo termine.

Non ci si biasimi, dunque, se tentiamo di approfittare di questa occasione per chiarire alcuni fatti sui quali in questi giorni si stanno innestando discussioni e polemiche non sempre centrate.

Tentiamo di schematizzare in tre punti:

1) nuove mappe nazionali;
2) comuni a “blanda sismicità”;
3) la mappa di rischio regionale.

Nuove mappe nazionali

Attualmente i comuni italiani sono classificati sismici (e quindi in essi le costruzioni debbono sottostare all’apposita normativa tecnica) in base a un decreto ministeriale che recepisce la proposta avanzata da un gruppo di lavoro del Progetto finalizzato Geodinamica (Consiglio Nazionale delle Ricerche) coordinato dal professor Petrini. In sede ministeriale fu peraltro deciso di aggiungere una terza categoria di sismicità (la terza, S = 6 per i tecnici) che noi del P f Geodinamica denominammo con bonomia ironia, la “categoria Napoli”, dato che sembrava disegnata proprio per poter includere nei comuni sismici quella e poche altre città la cui tipologia edilizia era particolarmente scadente.

Il gruppo di lavoro accompagnò la proposta con una serie di spiegazioni e raccomandazioni tra le quali è importante ricordare:

1) la riclassificazione fu studiata in tempi rapidissimi imposti dal Ministero dei Lavori pubblici e quindi venne deciso di:

a) lasciare inalterato il quadro per i comuni già classificati;
b) inserire tutti i nuovi comuni nella seconda categoria (S = 9) indipendentemente dalla severità del massimo terremoto atteso;
c) indicare alcune fasce di comuni come necessitanti di ulteriori indagini perché gli elementi allora disponibili non consentivano ragionevoli certezza (tra di essi la fascia costiera Abruzzo-Molise).

2) Si ritenne accettabile il criterio mai dichiarato, ma ricavabile mediamente dalla precedente classificazione, di proporre come terremoto da cui difendersi quello di intensità pari al grado ottavo della scala Mercalli-Cancani-Sieberg per il quale gli effetti sono: solidi muri di cinta in pietra sono aperti e atterrati. Un quarto circa delle case è gravemente leso; alcune crollano; molte divengono inabitabili. Negli edifici ad intelaiatura gran parte di queste cadono.

Nel 1997 il Servizio Sismico Nazionale, rifondato e consolidato anche grazia all’impulso del Geodinamica, formò una commissione per l’aggiornamento della riclassificazione. I lavori della commissione sono terminati nel 1998 e non potevano non tener conto delle nuove conoscenze raggiunte in circa vent’anni di impegno dei ricercatori del Gruppo nazionale per la difesa dai terremoti (come dire la quasi totalità degli scienziati italiani del settore).
Tale classificazione non è ancora legge ma i motivi non ci sono noti.

I comuni a “blanda sismicità”

Sono i comuni della terza categoria e, per semplificare, potremmo dire che rappresentano le fasce di transizione tra le zone a sismicità elevata a quelle di sismicità trascurabile. Le probabilità di un evento dannoso sono basse ciononostante le nuove costruzioni avranno un costo maggiore (comunque entro il 10 % del totale).

Alcuni sindaci della bassa friulana hanno espresso critiche anche molto severe. Affermare che a Latisana il rischio sismico è nullo è discutibile, ma è certo che i problemi che essi pongono sono reali e ben individuati. Proviamo a tradurne uno con un esempio ipotetico: perché il mio comune che corre il rischio di andare sotto l’acqua una volta ogni 400 anni deve impiegare risorse per difendersi da un terremoto che, con la stessa periodicità, potrà provocare danni lievi o lievissimi?

La risposta tocca ovviamente a chi ha voluto la terza categoria, non alla Commissione del Servizio Sismico Nazionale.

La mappa di rischio regionale

Il nostro legislatore regionale ha affrontato e, a nostro avviso, risolto sul piano normativo, molti dei problemi che abbiamo esplicitato o che sono impliciti in quanto sopra scritto nella legge sulla Protezione civile del 1986. In essa si dice che l’attenuazione dei rischi si effettua sulla base dei documenti conoscitivi, le mappe di rischio, realizzate da tecnici e ricercatori riuniti in appositi gruppi di lavoro.

La prima di tali mappe, quella del rischio sismico, è stata di recente terminata. Con essa la regione è in grado di valutare quanto sia necessario spendere per portare a un certo grado di sicurezza gli edifici in muratura in tutto o in parte del territorio regionale. Come tale ha due caratteristiche che non possono farla confondere con le mappe di riclassificazione che non sono molto di più di un elenco di comuni:

1) riguarda principalmente le costruzioni “vecchie”, costruite cioè prima dell’istaurarsi della normativa sismica;

2) è uno strumento di ausilio alle decisioni e non normativo. Non si sovrappone né cancella la classificazione sismica.

Bene fa la Regione a considerarlo con prudenza e attenzione dato che esso assume valenza piena solo se rapportato alle altre mappe di rischio quanto meno di origine naturale e inserito in una pianificazione finanziaria di lungo termine. Che poi siamo personalmente dispiaciuti di non poterlo diffondere ancora nella comunità scientifica per ottenere gli ovvi ritorni in termini di critiche e suggerimenti migliorativi è naturale ma secondario.

Infine un’ultima osservazione a proposito dell’allocazione di risorse nella lotta ai rischi. Il Friuli sta facendo molto di più di molte altre regioni. Ciò è positivo. Però non dobbiamo dimenticare che altre regioni d’Italia sono soggette a un rischio enormemente maggiore. S per esempio si replicasse il terremoto della Sicilia orientale del 1693 (e ciò è possibile), i danni sarebbero equivalenti in vittime a molte decine di migliaia, e in denaro a molte decine di “finanziarie” al cui confronto quelle necessarie per l’euro sembrerebbero davvero insignificanti.

Anche i friulani sarebbero quindi vittime del terremoto siciliano.

Scarica l'articolo con le immagini cliccando sull'allegato

<< Torna indietro



Sito disegnato in XHTML 1.1 (verifica) e CSS 2.0 - © ANISN 2005
amministrazione