Edwin H. Land
Home ] Lomonosov ] T. Young ] J. W. von Goethe ] Johannes Müller ] James Maxwell ] H. von Helmholtz ] Purkinje ] Heinrich Müller ] Ewald Hering ] Ernst Mach ] Ramón y Cajal ] [ Edwin H. Land ] Ragnar Granit ] Stephen Kuffler ]

 

Primo modello di macchina polaroid (1945)

 

 

fig. 2

 

 

 

land.h2.jpg (11209 byte)

Edwin H. Land (1909-1991)

Edwin H. Land (1909-1991) compì i suoi studi ad Harvard; proprio in quegli anni, nel 1936, inventò un foglio polarizzante, che chiamò polaroid, costituito da una pellicola di plastica in cui erano incorporati numerosi cristalli di erapatite (solfato di iodiochinino). Abbandonata l'università prima del conseguimento della laurea, fondò nel 1937, la Polaroid Corporation, che inizialmente produceva prismi, occhiali e vetri accoppiati, tutti basati sul principio della polarizzazione della luce ed intorno alla metà degli anni Quaranta iniziò la fabbricazione di un particolare tipo di macchina fotografica, in grado di fornire direttamente una copia positiva delle fotografie grazie a pellicole dotate, oltre al rivestimento fotosensibile, anche di sostanze necessarie allo sviluppo; nel 1972 l'azienda fu in grado di produrre una macchina capace di stampare direttamente, dopo pochi minuti, foto a colori.

Queste rivoluzionarie innovazioni tecniche sono strettamente legate allo studio sistematico compiuto da  Land sui processi di percezione cromatica ed in particolare sulla costanza percettiva del colore. Inizialmente, intorno agli anni Cinquanta dello scorso secolo, Land utilizzò due filtri per fotografare una scena colorata: uno permetteva il passaggio esclusivamente delle lunghezze d'onda corte, l'altro di quelle lunghe; le due foto, così, differivano esclusivamente per una maggiore brillantezza od oscurità dei punti corrispondenti, ma non erano colorate. Proiettò poi le due diapositive, in modo che si andassero a sovrapporre su una schermo, utilizzando, per proiettare le immagini, una lampada ad incandescenza (luce bianca) per la pellicola impressionata dalle onde corte e un fascio di luce rossa per la pellicola impressionata dalle onde lunghe. Secondo la teoria dei colori classica, di Newton, Young, Maxwell, Helmholtz l'immagine sullo schermo avrebbe dovuto possedere diverse sfumature di rosa, mentre quella che gli si presentò era di vari colori, abbastanza simili a quelli originali. Per più di venti anni Land proseguì il suo lavoro di ricerca, mettendo in luce come questi colori inaspettati apparivano pressoché istantaneamente e quindi non erano dovuti a un qualche meccanismi di adattamento dell'occhio, né dipendevano dall'intensità dell'illuminazione ambientale o dai raggi di luce che venivano proiettati, o dai filtri utilizzati per produrre le diapositive.

Land approntò una serie di esperimenti in cui utilizzava proiettori a luce monocromatica di lunghezza d'onda variabile, in modo da poter studiare la variazione di colori al variare delle lunghezze d'onda con cui gli oggetti venivano illuminati. Tutto questo lo portò a concludere che la teoria classica sul modo con cui vengono percepiti i colori è valida soltanto per macchie circoscritte di luce, osservate su una sfondo nero, cosa che ha scarsa rilevanza in contesti naturali, in cui siano coinvolti oggetti diversi e un'illuminazione variabile. Insomma, il colore percepito di un determinato oggetto non dipende dalla  lunghezza d'onda  riflessa ed inviata  all'occhio.

Per scoprire la natura dello stimolo, utilizzò collages  "Mondrian", pezzi  di carta di diversa forma e colore. I suoi primi esperimenti furono condotti con "Mondrian" a figure bianche, grigie e nere; l'osservatore portava occhiali neri che consentivano pertanto l'attività dei bastoncelli e non quella dei coni (visione notturna). Variando l'illuminazione,  Land vide che le gradazioni di colore dal bianco al nero non variavano anche se una forma percepita come nera mandava all'occhio molta più luce di una, appartenente ad un altro " Mondrian", percepita come bianca ; l'occhio, pertanto, è in grado di identificare diversi valori di luminosità indipendentemente dall'energia radiante che riceve; in base a ciò, ipotizzò che la riflettanza relativa, dipendente anche dal contorno degli oggetti avesse importanza cruciale nel processo di visione. 

I collages Mondrian (fig. 2)  vennero illuminati da tre proiettori che emettevano luci di diversa lunghezza d'onda; un telefotometro (a destra sul treppiede) misurava  le lunghezze d'onda riflesse nell'occhio da una data tinta presente nel quadro: ad esempio, aggiustando l'illuminazione in modo tale che un'area bianca riflettesse tre lunghezze d'onda identiche a quelle emesse da un'area verde di un altro Mondrian, il bianco continuava ad essere percepito come bianco ed il verde come verde. In questo modo dimostrò che il colore percepito non dipende dalla lunghezza d'onda riflessa dalla tinta presente nel quadro. Questo ed altri esperimenti gli confermarono l'idea che la percezione delle tinte non dipendesse dalle lunghezze d'onda da queste emesse, ma da una sorta di valutazione automatica fra la quantità di luce di un dato colore riflessa dall'oggetto, in rapporto alle quantità riflesse dalle superfici vicine; l'analisi, a suo avviso sarebbe compiuta in una qualche zona del cervello situata fra la retina e la corteccia. Nel 1986 Land formulò la teoria, definita Retinex, che ha trovato parziale conferma negli studi successivi.

 

Home ]