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Darwin ha cambiato il mondo.

Brano tratto da George Gaylord Simpson, - Evoluzione: una visione del mondo, Sansoni, 1972 

[...]Si è detto spesso che Darwin ha cambiato il mondo. Meno spesso è stato chiarito quale sia stato esattamente questo cambiamento. Darwin non fece - e torna a suo onore - nessuna delle scoperte che ci hanno portato a quel pericolo di distruzione fisica che ci sovrasta. La maggior parte della nostra tecnologia sarebbe la stessa anche se il lavoro di Darwin non fosse stato compiuto, da lui o da chiunque altro. Senza dubbio in questo caso noi avremmo ancora gli ingorghi del traffico, i film dell’orrore, la gomma da masticare e le altre manifestazioni evidenti di un’alta civilizzazione. Gli accessori della civiltà, tuttavia, sono superficiali. L’influenza di Darwin, e più ampiamente del concetto di evoluzione, ha avuto effetti ben più profondi: ci ha letteralmente condotto in un mondo diverso [...]

[...]Il mondo nel quale vivono gli uomini moderni, civili, è cambiato profondamente col progredire della concezione razionale dell’universo cioè in ultima analisi scientifica. I cambiamenti essenziali sono venuti innanzitutto dalle scienze fisiche e da quanto le precedette. Nello spazio, il cerchietto del selvaggio divenne un largo disco, un globo, un pianeta in un sistema solare, che ancora divenne uno dei tanti della nostra galassia, che a sua volta divenne solo una nebulosa in un cosmo che ne contiene infiniti miliardi. Gli astronomi ci hanno definitivamente posto su un granellino insignificante in una vastità illimitata - di sicuro un mondo terribilmente diverso da quello in cui vivevano i nostri antenati non molte generazioni fa. Se l’astronomia fece l’universo immenso, la fisica e le scienze annesse lo dotarono di leggi. Effetti fisici hanno cause fisiche, e la relazione è tale che quando le cause sono sufficientemente conosciute, gli effetti possono essere previsti con una certa attendibilità. Non viviamo più in un mondo capriccioso; possiamo aspettarci che l’universo si comporti con noi in modo coerente, anche se non corretto. Se capita qualcosa di inconsueto non è più necessario addossarne la colpa al “kanaima” (ovvero a un dio o demone fantastici), ma si può cercare fiduciosamente un’inconsueta, o finora sconosciuta, causa fisica. Questo, forse, è un atto di fede, ma non è superstizione. Invece di ricorrere al soprannaturale, ci appoggiamo alla conferma di migliaia di ricerche fruttuose volte a determinare delle cause verificabili. Questa visione dell’universo lo spersonalizza, e lo rende più austero, ma anche più attendibile. A quelle scoperte ed a quei principi, che cosi grandemente modificarono il concetto del cosmo, la geologia ne aggiunse due di importanza fondamentale, che cambiarono il mondo: la vasta estensione dell’universo nel tempo, e l’idea di una evoluzione costante nel tempo regolata da leggi. Le valutazioni del tempo geologico hanno variato grandemente, ma già nel XVIII secolo a pochi era chiaro che l’età della terra doveva essere stimata in milioni di anni, piuttosto che in migliaia come veniva volgarmente accettato dall’esegesi biblica. Adesso alcune date geologiche sono stabilite saldamente, entro limiti restrittivi, e nessun geologo competente considera che la terra abbia meno di tre miliardi di anni. Questo è pur sempre un momento nell’eternità, ma definisce un mondo parecchio diverso da uno che fosse concepito con età inferiore a seimila anni. Con il sorgere dell’idea che la Terra sia realmente molto vecchia, in termini di età umana, si è acquisita la consapevolezza che essa è cambiata, progressivamente e radicalmente, ma di solito gradualmente e sempre in modo ordinato, naturale. Il fatto del cambiamento non era stato negato prima, nella scienza occidentale o in teologia, dopo tutto il diluvio universale era considerato un cambiamento radicale. Ma si credeva che il diluvio avesse avuto cause soprannaturali o concomitanti che non sono state operanti per tutta la storia della terra. La dottrina dell’uniformismo geologico, affermatasi finalmente all’inizio del XIX secolo, allargò il regno accettato della legge naturale. La Terra è mutata durante la sua storia solo sotto l’azione di forze materiali, e di quelle stesse forze che adesso ci sono manifeste e che ancora agiscono su di essa.

[...]I passi che ho brevemente tracciato hanno ridotto il dominio della superstizione nel mondo concettuale degli esseri umani. Il cambiamento è stato lento, irregolare e non è stato accettato da tutti. Anche adesso ci sono popoli, considerati civili, per cui il mondo fu creato nel 4004 A.C.. Cionondimeno, verso l’inizio del periodo vittoriano, il mondo fisico, secondo il giudizio concorde degli uomini di cultura, appariva geologicamente antico e soggetto a leggi materiali per tutta la durata della sua storia e nel corso della sua attuale attività. Non così , tuttavia, il mondo della vita; qui, la superstizione più evoluta - o almeno l’ultima - era quasi inattaccabile. I pendoli potevano oscillare con matematica regolarità e le montagne sorgere e cadere attraverso i millenni, ma gli esseri viventi stavano al di fuori del dominio dei princìpi materiali o della storia secolare. Se la vita obbediva a delle leggi, esse erano soprannaturali e non legate alle leggi fisiche della materia inorganica. Al di là della sua creazione originaria, divina, la storia della vita era banale. Le specie erano rimaste ognuna come erano state create in principio, senza subir cambiamenti eccezion fatta per variazioni minori ed evidenti. Forse l’elemento più rilevante del mondo dell’uomo è la concezione che questi ha di se stesso. E qui che la superstizione più evoluta offriva un piccolo reale progresso rispetto a quella più primitiva. Secondo la superstizione più evoluta, l’uomo è qualcosa di completamente distinto dalla natura. Egli si stacca da tutte le altre creature: la sua origine è soprannaturale, non naturale. Può, a prima vista, sembrare strano che questi scienziati, che avevano queste idee, classificassero poi l’uomo come un animale. Linneo, un ortodosso sostenitore della superstizione più evoluta, arrivò a classificare Homo insieme con le varie specie di scimmie. Ciò non voleva dire che vi fosse alcuna affinità di sangue. L’organizzazione della natura riproduceva il modello della creazione e includeva tutte le cose create, senza affinità reciproche al di là del posto assegnato separatamente ad ognuna nel piano divino.

Un altro concetto più sottile ed anche più mistificatore della superstizione più evoluta era che il mondo fosse stato creato per l’uomo. Gli altri organismi non avevano fini individuali nello schema della creazione. Fossero essi nocivi o utili, dovevano essere considerati seriamente solo nella loro relazione con la creatura suprema, immagine di Dio. Stabilire che un pidocchio, per esempio, fosse stato creato per essere un compagno dell’uomo, richiedeva una certa dose di ingenuità, ma l’ingenuità non faceva difetto. [...]

Questi elementi della superstizione più evoluta dominarono il pensiero europeo prima della pubblicazione de L’origine delle specie, ma vari studi hanno esaurientemente dimostrato che le idee evoluzioniste esistevano e si stavano spandendo lentamente tra una minoranza di “cognoscenti” molto prima di Darwin. Alcuni credevano che ogni specie, benché creata separatamente per opera divina, potesse cambiare e in particolare potesse degenerare dalla forma attribuitale nel piano originario della creazione. Questo non è un modo di vedere veramente evoluzionista, poiché non implica in realtà l’origine di una specie da un’altra, ma lo si può chiamare preevoluzionista in quanto riconosceva il fatto che ogni singola specie può cambiare. Nel XVIII secolo, Buffon giunse a questo punto, ma procedette poco oltre, nonostante qualche sostenitore lo voglia oggi chiamare evoluzionista. Alcune celebrità del XVIII secolo - fra essi Linneo nei suoi ultimi anni - fecero un passo avanti. Essi espressero l’opinione che ognuno dei “tipi” della Genesi creati separatamente potesse essere in seguito divenuto notevolmente diverso, cosicché l’elemento unitario della creazione poteva essere ciò che noi ora chiamiamo un genere o anche una famiglia o un gruppo superiore, e le specie o i sottogruppi potrebbero essere sorti, o addirittura essersi evoluti, fin dalla creazione.[...].

[...].Questo mondo in cui Darwin ci ha introdotto è certamente assai diverso da quello della superstizione più evoluta. Nel mondo di Darwin l’uomo non ricopre che il ruolo che gli deriva dall’esser definito come una specie distinta di animale, ed è parte della natura nel senso più completo. Egli è simile, non in senso figurato, ma letteralmente, ad ogni altro essere vivente, sia esso un’ameba, una tenia, una mosca, un’alga, una quercia o una scimmia - anche se poi i gradi di parentela sono diversi e si possa sentire meno trasporto per cugini di quarantaduesimo grado come le tenie, che per fratelli (in senso relativo, si intende) come le scimmie. Questa è una forma di solidarietà e fratellanza così radicale che supera i sogni più sfrenati di qualunque inventore di slogan pubblicitari, come pure di qualunque teologo. Inoltre, dal momento che la specie umana è una delle tante -milioni e milioni- che furono tutte prodotte dallo stesso grandioso processo, è quanto mai improbabile che al mondo esista qualcosa unicamente in funzione dell’uomo, sia per la sua utilità che per il suo danno. Dire che i frutti sono stati creati per la delizia degli uomini sarebbe come dire che gli uomini sono stati creati per la delizia delle tigri: invece ogni specie, compresa la nostra, si è sviluppata, per così dire, esclusivamente nel proprio interesse. Le varie specie sono in vario modo interdipendenti, e inoltre alcune riescono a vivere meglio di altre, ma in tutto questo non vi è alcun favoritismo divino: il mondo razionale non è teleologico nella vecchia accezione del termine. Ha certamente dei fini, ma questi non sono imposti dall’esterno né sono anticipatori del futuro. Sono intrinseci in ogni specie considerata a sé stante, relativi solo alle sue funzioni e di solito solo al suo stato attuale. Ogni specie è unica e l’uomo poi è unico per ragioni nuove e del tutto speciali.  Fra queste ragioni particolari che fanno parte della definizione dell’Homo sapiens sta il fatto che l’uomo ha i suoi propri fini che lo mettono in rapporto con il futuro [...].

 

 

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