Altri documenti li trovi su: http://www.anisn.it/scienzescuola/documenti.htm
Il quadro normativo del progetto Moratti: prime realizzazioni
e valutazioni
Giorgio Porrotto Coordinaotre del
progetto “Autonomia” della LUISS - Roma
Sono stato invitato a darvi alcuni punti di riferimento per una lettura
breve dei processi di riforma, dei quali mi occupo da molto tempo; vi darò
delle indicazioni che hanno più che altro valore di avvertenze, cioè indicherò
in qualche modo una lettura utile dei ”cartelli stradali“ all’interno della
riforma. Ce n’è bisogno perché -e cominciamo con un elemento molto tecnico-
questa riforma, al contrario di tutte le precedenti, è strettamente legata alle
riforme della costituzione.
Ricordate tutti che abbiamo fatto un referendum dopo il quale è venuta la
legge costituzionale dell’ottobre del 2001, la legge costituzionale 3, che ha
modificato il titolo quinto della costituzione, per cui il disegno di legge
1306 del ministro Moratti non poteva non attenersi alle disposizioni di questa
modifica della costituzione, che pure l’attuale maggioranza non ha mai
accettato. Poi bisogna tenere conto di un’altra modifica della costituzione che
è in arrivo, anzi è già in parlamento ed è già in discussione nel Paese: la
devolution. Inoltre, dietro l’angolo c’è un altro disegno di legge di modifica
del titolo quinto che potrebbe a un certo punto sorpassare quella sulla
devolution. Insomma, dietro alla complessità tecnica delle modifiche della
costituzione, emergono sempre disegni politici ed è su questi ultimi che io,
naturalmente, richiamo l’attenzione: ecco il primo cartello stradale.
Intanto diamo una lettura della situazione a tutt’oggi circa il rapporto
tra riforma della scuola e riforma della costituzione.
Finora lo Stato ha avuto sulla scuola poteri esclusivi, d’ora in poi, con
la modifica del titolo quinto della costituzione, ha solo poteri esclusivi
sulle norme generali e sui lep, cioè sui “Livelli essenziali delle prestazioni
per l’esercizio dei diritti…” che altro non sarebbero poi che gli standard
minimi essenziali che l’istruzione e la formazione devono assicurare alle nuove
generazioni, quindi lo Stato ha poteri legislativi sulle norme generali e sui
livelli essenziali delle prestazioni (chiamiamoli lep per brevità); per il
resto si provvede con la legislazione concorrente, che è la grande
incognita della modifica del titolo quinto della costituzione perché non si
capisce ancora come possa praticamente venire fuori. Legislazione concorrente
vuol dire che alla determinazione della medesima concorrono Stato e regioni,
(non si sa ancora in quale maniera e in quale misura). Lo Stato dunque dovrà
indicare i principi fondamentali, le regioni delibereranno su tutto il resto.
Attenzione, prima ho parlato di norme generali di potere esclusivo
dello Stato, ora ho detto principi
fondamentali della legislazione concorrente, e questi principi fondamentali
spettano allo Stato, ma qual è la differenza tra norme generali e principi
fondamentali? Lo dicono i giuristi -e io ripeto come un buono scolaretto-
generali sta per “uguali dappertutto”, fondamentali significa “all’inizio del
discorso che altri proseguiranno”: molto semplice ma penso abbastanza chiaro.
Allora, se voi leggete il disegno di legge 1306 non trovate una proposta di
norme generali; e questa è un’altra complicazione che non è determinata dalla
modifica del titolo quinto ma dalla scelta del governo attualmente in carica:
il governo poteva presentare le norme generali e ha fatto invece un’altra
scelta, ha presentato una legge delega che indica i principi, i criteri, gli
orientamenti con i quali dovranno essere dettate le norme generali che saranno
formulate non dal parlamento ma dal governo. Quindi, quando leggete il disegno
di legge, non avete di fronte il panorama delle norme generali ma soltanto le
indicazioni che saranno utilizzate per dettare le norme generali attraverso
decreti legislativi, la cui competenza è esclusiva del governo. Questo che cosa
significa? Significa uno scaglionamento, una rateizzazione del processo di
riforma che può avere sviluppi attualmente non verificabili; cioè, sulla base
del testo che abbiamo, non possiamo avere un disegno completo di quel che potrà
succedere. Naturalmente, per un lettore attento, un lettore noioso come il
sottoscritto, possono emergere qua e là dei punti estremamente sospetti (nel
rapporto LUISS sull’autonomia queste cose le ho dette con le puntigliosità del
lettore fastidioso) e vediamo alla luce dei fatti cosa viene fuori, con qualche
esempio.
In un certo punto si dice che la scuola deve “rispettare le scelte
educative della famiglia” :questa espressione, in un paese come l’Italia
-per il quale i sociologi americani
hanno inventato l’espressione “familismo amorale”- si presta a qualche
legittimo sospetto, se si pensa che l’espressione più completa, più compiuta,
più espressiva del familismo amorale è la mafia, dove infatti si parla di
famiglie.
Altrove si dice che “l’educazione deve riflettere principi interni tipici
espressi dalla comunità locale”, e va bene, “dalla comunità
nazionale”, e va bene, poi uno si aspetta, siccome l’aggettivo diventa
“europeo”,dalla comunità europea, niente affatto, c’è “civiltà
europea” che è una cosa diversa da “comunità” e questa sembra quasi
un’incrinatura del nostro rapporto con la comunità, così come sembra
un’incrinatura addirittura con le Nazioni Unite la sparizione del riferimento
ai diritti umani. Ora, i diritti umani sono al centro, almeno ufficialmente, di
tutti i dissidi, anche degli ultimi progetti di guerra, di tutte le battaglie
che si combattono nel mondo, e dal nostro disegno di riforma spariscono? Ecco,
poi può darsi che questo non abbia nessuna conseguenza, ma un lettore noioso
queste cose le deve dire.
C’è poi l’altra incognita relativa alle modifiche della costituzione,
(lasciando perdere il disegno di legge La Loggia, relativo alla modifica del
titolo quinto) cioè il progetto di devolution, che non si capisce ancora cosa
voglia essere. C’è scritto pochissimo e quel poco può essere letto in tante
maniere (ma non è un difetto solo di questa parte politica, lo vedremo subito);
quello che conta è ciò che dalle parti interessate viene messo in evidenza, ed
è l’aggiunta di contenuti di carattere regionale ai curricola nazionali,
che peraltro è già nel disegno di legge.
E questo è un punto importante secondo il punto di vista dei fautori
dell’autonomia, perché l’autonomia, così come è proposta dalla nostra
legislazione, mette l’accento sul fatto che i contenuti contano non soltanto
come oggetto di conoscenza ma anche, se non soprattutto, come strumento di
formazione. Ora, se in una riforma tutto l’accento viene messo sui
contenuti, è un passo indietro nei confronti dell’autonomia e cioè della
valorizzazione della professionalità scolastica, perché è dal ’74 che viene
detto che la funzione docente è trasmissione ed elaborazione, e
quest’ultima è la parte in cui deve emergere la professionalità dei docenti e,
nella scuola di massa, la differenziazione è fondamentale. L’uniformità andava
bene per la scuola di élite, mentre per la scuola di massa, che per sua natura
è estremamente differenziata, quello che conta è la capacità della scuola di
trasmettere contenuti in termini differenziati, e questo lo fa solo la
professionalità docente. Ora, se si insiste tanto sui contenuti vuol dire che
grandi intenzioni di avere attenzione per l’autonomia, ripeto, letta come
professionalità della classe docente, non si hanno.
Fino a qui la parte del rapporto con la costituzione. E se qualcuno vuole
muovere dei rimproveri alla parte politica attualmente al governo, lo può fare,
a patto che -e questo è il mio modestissimo punto di vista- si accorga che
dall’altra parte si è fatto pressappoco la stessa cosa, per esempio con
l’autonomia. Il disegno iniziale di Berlinguer, che non era né di destra né di
sinistra, (e infatti a bocciarlo è stata la sinistra, non è stata la destra) è
stato buttato fuori senza nemmeno un briciolo di discussione sul merito e
nessuno ne parla più: De Mauro è soltanto il latore della letterina di
licenziamento e niente di più. E il grande progetto si è ridotto a nulla: la
legge 30 era un pieno di vuoti, aveva ragione la destra a dire che era un pieno
di vuoti, infatti nessuno ha più il coraggio di difenderla. Se si leggono i programmi
dell’Ulivo attentamente, non quelli scritti sui manifesti, o quelli degli
opuscoli che nessuno legge, ci si vi accorge che non se ne parla più. Era un
pieno di vuoti, tanto vuoti che non si prevedeva nemmeno quella parte centrale
del progetto iniziale, che era un progetto OCSE dal quale Berlinguer non aveva
fatto altro che riprendere le linee fondamentali; un progetto che non era né di
destra né di sinistra in Italia è stato considerato di destra ed è stato
bocciato dalla sinistra stessa. Anche la destra tuttavia ora non l’ha raccolto:
e qui ci sono tanti elementi di riflessione e di lettura a cui poi cercherò di
dare brevissimamente una spiegazione. Una volta la riforma si faceva con la
legge di riforma e poi i regolamenti applicativi; De Mauro ha fatto a tempo a
fare i regolamenti applicativi per la scuola di base e se andate a vederli,
l’autonomia non c’è, né direttamente né indirettamente, neppure ad esaminare le
frasi in controluce; e si spiega, perché chi ha seguito -e purtroppo queste
sono le mie fatiche- i lavori delle commissioni che hanno preparato quei
regolamenti non ha trovato nulla che si riferisse all’autonomia, come nulla è
nella riforma adesso.
Il progetto del ministro Moratti non si sa quale sia: infatti, prima c’è
stato il famoso rapporto del comitato ristretto che è stato presentato agli
Stati Generali con grande clamore e grande suono di clarine, nel contempo,
negli stessi giorni, veniva mandato al Parlamento un disegno di legge che è
l’opposto, perché nel rapporto del comitato ristretto si faceva un discorso
prepolitico, cioè che non teneva conto delle modifiche della costituzione,
mentre il disegno di legge le segue esattamente. Quindi, come vedete, due cose
completamente diverse. E’ una sorta di giallo, innescato però dallo stesso ministro:
non si sa quale sia il progetto; probabilmente sarà una summa dei due, però per
leggerla bisognerà aspettare i decreti legislativi. Il centro sinistra cosa ha
fatto? All’inizio un grande disegno, per strada lo ha sepolto, senza dire
perché e senza aprire un dibattito: semplicemente hanno silurato l’artefice,
Berlinguer, senza dire che c’era un
dibattito in corso e senza dire quali erano i termini essenziali di questo
dibattito; proprio come sta facendo ora il centro-destra, il quale è fatto di
forze culturalmente distantissime fra di loro e sulla scuola, che è proprio il
terreno dove l’ideologia e la cultura vengono fuori, emergono le differenze,
senza essere confrontate, discusse o mediate: nessuno dice nulla; anche lì,
silenzio. Cioè i due grandi schieramenti si comportano in maniera analoga e
purtroppo questo condiziona pesantemente la possibilità di avere davvero la
riforma di cui il sistema scolastico ha bisogno. In Italia non abbiamo avuto in
tutto il Novecento, dopo Gentile, che brandelli di riforma, non abbiamo mai
avuto una riforma sistemica. Berlinguer si presentò nel ’94 con l’idea di una
riforma sistemica, la prima, discutibile finché si vuole (perché c’era molto da
discutere anche su quella ), però il disegno c’era, un disegno organico,
strutturato, fondato su tutta una serie di studi e di ricerche che in Italia
non si fanno perché in Italia non ci sono ricerche sulla scuola, mentre negli
altri paesi pullulano. L’ultimo libro di Bottani (Insegnanti al timone ? Il
Mulino, Bo) è molto documentato rispetto alle ricerche che vengono condotte in
altri paesi su quel fenomeno che in Italia invece è completamente ignorato,
l’autonomia; in Italia si occupa degli studi sull’autonomia soltanto la LUISS,
con l’Osservatorio a cui appartengo. Noi veniamo infatti, purtroppo, dalla
tradizione amministrativa, nella cui cultura non è avvertito il bisogno della
ricerca; l’amministrazione si accontenta del rispetto burocratico delle leggi,
degli ordinamenti, dei decreti, delle circolari, e non si occupa dei risultati
di sistema.
Se le cose stanno così, non avremo dunque una riforma sistemica, avremo
soltanto officine di aggiustamento, per di più su basi elettoralistiche, perché
così ha fatto il centro-sinistra e così sta facendo la politica di
centro-destra, alla stessa maniera.
Quali sono i punti forti del nuovo progetto che abbiamo sott’occhio? Sono
il mantenimento della scuola media, buco nero della scuola italiana. Proprio
due settimane fa il non sospetto Sole 24 ore aveva un editoriale in
prima pagina dal titolo “Infelice il popolo che non si vergogna di quello che
fa” e si riferiva agli ultimi dati UNICEF sulla scuola media, che ancora una
volta ci vedono tra gli ultimissimi posti: è il nostro buco nero e l’abbiamo
tranquillamente confermata! Ma perché? Semplicemente perché il riordino dei
cicli ne prevedeva l’assorbimento e naturalmente questo aveva comportato
sconcerto nei gruppi corporativi interni alla scuola, d’altra parte
elettoralisticamente era stato promesso dal centro-destra di eliminare questa parte
della riforma, e così è stato fatto, senza darne nessuna ragione al mondo: e
invece, se è vero che tutto il sistema scolastico è da rivedere, è altrettanto
vero che lo è particolarmente il segmento più debole, che è la scuola media,
sempre difesa con orgoglio ideologico dalla sinistra, e diventata oggi oggetto
prezioso per la destra.
L’altro punto importante della riforma Moratti è quello relativo ai due
canali, dell’istruzione e della formazione; e anche qui bisogna essere molto
attenti a non dare letture ideologiche, ma a darle in relazione a quel che
succede nel resto del mondo, dove il numero dei diplomati è molto alto e
soprattutto il rapporto tra istruzione e formazione -vorrei dire professionale,
ma subito viene in mente quella istituzionale, formazione al lavoro,
all’attività, alle professioni,- è un rapporto molto fattivo, interattivo,
fondato sul continuo confronto e su sviluppi paralleli, mentre in Italia noi
sappiamo che esiste soltanto l’istruzione; la formazione è il regno dei
desperados, degli esclusi.
Allora, il disegno di legge originario, di Berlinguer, puntava
sull’orientamento: addirittura i primi tre anni della scuola secondaria
previsti nella formula 6+6 come snodo di tutto il sistema, venivano chiamati
scuola di orientamento, ma già nel primo disegno di legge fatto da Berlinguer
questa definizione era sparita, perché non piaceva all’interno della sinistra;
successivamente è sparito tutto: è rimasta soltanto la possibilità di scelta di
passaggio dall’uno all’altro canale, ma ridotta a qualcosa di non dissimile
dagli attuali esami di idoneità. Questo è quanto si legge nelle intenzioni dei
lavori che le commissioni stavano facendo, anche se non si sono poi conclusi.
Adesso si propone la distinzione precoce fra i due canali paralleli, pur
dichiarandoli paritari, di pari dignità, parimenti strutturati, simmetrici e
così via. Così almeno si afferma in tutta la propaganda nel diluvio di opuscoli
che il Ministero ha sfornato( opuscoli molto patinati, molto gentili ma anche
molto pubblicitari ), però non si riesce a vedere come i due canali possano
essere equilibrati, perché sono uno di 5 e uno di 4 anni, ed hanno mete
diverse, uno porta da una parte e uno dall’altra. Ma non sono tanto queste le
cose che contano, quanto -e qui dico una cosa che dispiacerà a molti, ma la
devo dire altrimenti non sarei un lettore corretto-, c’è di mezzo la famosa
questione della uguaglianza sociale che per molto tempo si è ritenuto di poter
ottenere attraverso l’obbligo scolastico. Ma il problema dell’obbligo si è
esaurito da solo, perché di fatto, ormai, quasi tutti cercano di andare oltre
la scolarizzazione di base; sono pochissimi, poche decine di migliaia, quelli
che non cercano di passare dalla media alla secondaria superiore: il problema è
che poi non ci riescono, quindi in una maniera o nell’altra vengono isolati.
Dunque, la soluzione dell’obbligo su cui la sinistra insiste tanto non è una
soluzione. Ce n’è un’ altra, che però non piace alle due parti, che
implica l’affrontare il problema di
offerte differenziate in risposta alla diversità dei talenti dei giovani
studenti. L’adolescenza è un’età tragica ma felicemente tragica, è l’età delle
scelte: c’è chi è disposto a investire di più sullo studio teorico, e chi
invece a quell’età è disposto a investire di più sull’attività pratico
operativa, per le ragioni più varie. Si tratta allora di fare offerte
differenziate. Il grosso problema non è quello di obbligare i giovani ad
accedere al canale dell’istruzione, ma non è nemmeno quello di selezionarli
precocemente: il grosso problema è quello di fare in maniera che la formazione
professionale e l’istruzione professionale, ma soprattutto la formazione
professionale sia seria. In Italia si pensa subito all’istruzione come scelta
per il proprio figlio perché dall’altra parte l’offerta è miserrima,
scombinata, sconclusionata, inconsistente. Quindi, se davvero si vogliono fare
i due canali, e questa può essere una soluzione, si deve essere in grado di
investire sulla formazione professionale, che, in Italia, è tutta da scoprire.
Mentre la scuola ha una tradizione, ha
una sua logica, una sua forza intrinseca, anche dal punto di vista morale oltre
che scientifico, un suo status nella storia del paese, la formazione
professionale invece, no, ed è da qui che bisogna cominciare. Ma questo nella
riforma non è detto e non può nemmeno essere detto perché è di competenza delle
regioni, perché sulla formazione e istruzione professionale sono competenti le
regioni. Allora queste assicurazioni avrebbero potuto essere date solo da un
impegno politico più che istituzionale, che dicesse chiaramente là dove si
doveva andare.
Un accenno soltanto ad un’altra questione, del perché in Italia non si
possa fare la riforma, perché finora mi avete sentito dir male delle forze
politiche che non riescono a farla, ma se la pensassimo così saremmo
superficiali sul piano dell’esame; è evidente che gli ostacoli sono forti e
sono tanti, io mi limito ad elencarli.
Le forze politiche devono superare ostacoli enormi, che sono rappresentati,
intanto, da una forza che altrove è di propulsione in direzione delle riforme.
Quando i presidenti degli Stati Uniti si occupano di scuola, e tutti i
presidenti se ne sono occupati, tutto il mondo ne ha parlato, vuol dire che se
ne sono occupati sul serio; quando Blair si occupa di scuola, alla sua maniera
però se n’occupa (ha fatto la campagna elettorale parlando sempre di education,
education, education) e c’è un motivo, perché dietro c’è la pressione delle
forze economiche. Non dimenticate che le università americane che fanno
ricerca, e sta lì la potenza degli Stati Uniti, la fanno perché dietro c’è il
capitale che spinge, anzi alcune università sono state proprio create dal
capitale.
In Italia il nostro mondo dell’impresa come è messo?
Il grande capitale, maledetto dalla sinistra perché capitale (adesso
accusato di non saper fare il capitale, con gli scioperi della FIAT, con gli
studenti in piazza), è piuttosto debole, ed ha sempre risolto i suoi problemi
non con la ricerca e non chiedendo uno sviluppo della formazione, ma attraverso
astuzie di carattere finanziario o attraverso le stampelle che i governi via
via gli hanno fornito. La piccola industria, che rappresenta l’80%, pensa solo
alla sopravvivenza (14000 aziende ogni anno nascono e 14000 aziende ogni anno
spariscono), e non punta certo alla formazione. Quindi da questa parte nessuna
pressione.
Il problema delle riforme viene sempre dalla pressione di ambienti
culturali particolarmente forti che in altri paesi esistono; la pedagogia e le
scienze dell’educazione hanno avuto uno sviluppo enorme, ed è su questo che
negli altri paesi si gioca per fare le riforme. Andate a vedere, sempre a
proposito di autonomia, quel che si dice sullo sviluppo della professionalità
dei docenti in rapporto alla scuola di massa, perché il grosso problema è
questo. In Italia tutto questo non c’è perché la nostra pedagogia, ancora
ammalata di filosofia -e l’iniezione letale gliel’ha fatta Gentile- si occupa
di tutto fuorché di scuola. Intanto, è ammalata di bambinologia: la secondaria
superiore per la nostra pedagogia non esiste: abbiamo visto che è stato
bocciato in Italia dalla sinistra il progetto pur presentato da sinistra che
rifletteva tutto quanto la grande pedagogia di scienze dell’educazione
forniscono sul campo internazionale, e nessuno dei nostri pedagogisti si è
scandalizzato.
Poi c’è la connivenza delle consorterie sindacali e associative (salvo i
presenti), le associazioni seguono i sindacati, e i sindacati sono contrari ad
ogni riforma soprattutto a quella dell’autonomia, tant’è vero che non hanno mai
fatto una ricerca sull’autonomia, pur essendo detentori dei canali di
comunicazione e dei mezzi più potenti all’interno della scuola.
E sono contrari, perché l’autonomia comporterebbe la centralità della
professionalità docente, comporterebbe un dissesto di tutto quell’equilibrio di
architettura di interessi combinati che sono sulla scuola, e qui ci sono di
mezzo enti privati, risorse sindacali, e potrei continuare… ma ho indicato solo
i punti principali.
E si badi che siamo il paese più arretrato in quanto a sistema scolastico;
siamo l’unico paese che finora è stato gestito da una burocrazia; e non mi si
dica che è così anche per la Francia: infatti il centralismo francese è un
centralismo tecnico, cioè educativo, mentre da noi hanno sempre comandato i
burocrati, cioè la cultura giuridico-amministrativa.
E chiudo dicendo che il riflesso di questa ostilità alla grande riforma è
che il nostro paese è incapace di darsi una scuola finalizzata all’educazione e
all’istruzione perché il suo governo non è mai stato capace- e non lo è nemmeno
adesso- di sganciarsi da questa matrice.
Quindi la scuola fa le spese di tutto, ma particolarmente, nella scuola, la
classe docente, la quale non è nemmeno messa in grado di accorgersi delle
battaglie che si stanno facendo sulla sua testa e che sono quelle che,
presuntuosamente, ho cercato di indicare.
Grazie.