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Il curricolo di scienze

 

Leonardo Barsantini

 

 

Il cittadino, fra altri cittadini, deve inserirsi in una dimensione professionale, deve avere un rapporto armonico con la tecnologia, deve essere in grado di reperire o valutare le informazioni in suo possesso per affrontare scelte personali o collettive, deve essere un consumatore accorto, deve avere una coscienza ecologica, deve essere pronto, in una società multiculturale, a venire in contatto con altre esperienze di vita e ad abbandonare preconcetti, deve conoscere ed essere in grado di utilizzare più linguaggi.

Se pensiamo alla scuola come a un ambiente che permetta allo studente di porre le basi per la formazione della propria cittadinanza, allora anche l’insegnamento delle scienze deve muoversi nella stessa direzione. Le scienze devono favorire lo sviluppo di un pensiero critico cioè di un pensiero che permetta una cittadinanza consapevole. Ciò che si fa a scuola si giustifica se riesce a fornire agli studenti strumenti fondamentali per la propria crescita culturale, per la formazione della loro cittadinanza. Anche gli studenti sono ovviamente cittadini, non è che lo diventeranno soltanto al termine di un percorso di studio, ma a scuola si trovano a vivere in un ambiente più favorevole, si potrebbe dire protetto, allo scopo di permettere loro uno sviluppo più compiuto nella attesa di un ingresso nella società in ruoli più autonomi e con maggiori responsabilità. All’interno della scuola, della classe, si instaurano delle relazioni che fanno parte della cultura della scuola: si fissano compiti, tempi, modi di lavoro, valutazioni, ma ciò non deve tradursi in una autoreferenzialità in base alla quale ciò che si fa ha valore soltanto all’interno delle mura scolastiche.

Eppure il rischio di svolgere compiti che trovano un riscontro soltanto all’interno della classe è grande. Insegnare scienze impostando il lavoro in classe sulla trasmissione di conoscenze, sulla risoluzione di esercizi, e talvolta su qualche esperienza eseguita in laboratorio, ben difficilmente fornirà un contributo utile anche in ambito extrascolastico. Toccare più argomenti possibile perché poi, come si sente talvolta affermate, gli studenti non avranno altre occasioni, significa muoversi all’interno di una prospettiva basata sull’enciclopedia più che sull’essenziale e sul significativo (non ha caso vive ancora nei programmi di alcuni docenti la tradizione dei “cenni di …”). Affrontare temi partendo dagli aspetti più formalizzati, e quindi, più distanti all’esperienze dello studente, significa generare noia o frustrazione, ma sicuramente non crescita.

La formazione della cittadinanza ha ovviamente senso in uno stato democratico. La democrazia permette la cittadinanza e la cittadinanza rinforza la democrazia. Anche nella scuola ci si deve muovere in un ambito democratico permettendo agli studenti di vivere il loro tempo scolastico in spazi e strutture adeguate, di avere a disposizione laboratori, sussidi didattici e biblioteche ben fornite, di avere accesso alle strutture scolastiche indipendentemente dalle condizioni economiche, sociali e religiose, di avere tutti le stesse possibilità di formazione senza creare percorsi di prima classe e percorsi di seconda classe, ma tutto questo sforzo è vanificato se poi l’attività che si pratica in classe non è democratica. E qui il rischio è grande. Se è facile accorgersi della fatiscenza delle strutture o della mancanza di laboratori, è molto meno evidente mettere in evidenza i problemi connessi con una didattica che non aiuta lo studente nel suo processo di formazione.

Un insegnamento basato sulla stesura di un programma, magari tratto dall’indice di un libro o copiato dal programma ministeriale, che non tiene conto dei processi che si possono instaurare durante il percorso, che utilizza il laboratorio per la verifica di leggi o fatti sui quali si è data preventiva informazione, che è tutto appiattito sulla disciplina, che non tiene conto dei processi di apprendimento in cui sono coinvolti gli studenti, e il cui unico interesse didattico è per la verifica, è sicuramente poco rispettoso degli studenti.

Al contrario riflettere su cosa si vuole insegnare, su quali sono i percorsi più significativi, sulla successione logica e cronologica, individuando alcuni elementi indicativi della disciplina e adatti alla maturazione psicologica degli studenti, attuando anche scelte drastiche sugli argomenti da affrontare e su quegli da scartare, tenendo conto che gli studenti hanno un bagaglio di conoscenze che, anche se preconcette, non può essere trascurato, porre attenzione agli spazi e alle disponibilità, integrare il laboratorio nel lavoro di osservazione, di riflessione e di ricostruzione, riflettere, in definitiva, sul ruolo svolto dalla propria disciplina, in relazione con le altre, per permettere una crescita culturale, significa passare da una prospettiva basata sul programma a quella basata sul curricolo. Da questo punto di vista anche alcuni tentativi basati tutti o su una elaborazione del modo di presentare la disciplina o sullo sviluppo di metodologie scollegate dai contenuti, rappresentano soluzioni parziali del problema insegnamento - apprendimento. Se è vero che riteniamo imprescindibile che tutti godano degli stessi diritti e doveri, è anche vero che ognuno di noi e diverso dall’altro e la riflessione sul curricolo ha un grande valore democratico proprio perché, operando sul sistema, tiene conto del problema dell’eguaglianza e dell’individualizzazione come due aspetti della stessa medaglia. Altrettanto non accade nella logica del programma dove ci si muove nell’ottica dell’uniformità della proposta e si ricerca l’individualizzazione con interventi aggiuntivi.

E’ curioso che proprio l’insegnamento delle scienze, che pure si ritiene sia un tassello importante nella struttura scolastica, non fosse altro che per il famoso “metodo scientifico” cui molti si richiamano, sia poi così distante dalla struttura o dalle modalità operative dell’attività scientifica.

Una riflessione sul metodo scientifico è molto complessa, perché complessa è l’attività di pensiero che sta dietro lo studio della natura, anche se spesso si fa riferimento all’importanza di un generico “metodo scientifico” non ben definito. Mettendoci nella posizione dell’empirista ingenuo possiamo ritenere che i sensi ci forniscono una conoscenza certa della realtà. Ma questa posizione è poco sostenibile. La realtà, così come ci appare, è il frutto di una elaborazione personale. Lo studente non interpreta una prova sperimentale allo stesso modo dell’insegnante. Ad ogni modo una cosa è certa, pensare di introdurre il metodo scientifico nel primo capitolo del libro di testo è assurdo.

Nello studio di un sistema fisico, chimico o biologico, possiamo individuare vari livelli di analisi. L’interesse si può concentrare sugli oggetti che compongono il sistema, comprenderne le proprietà significa determinare modi efficaci per descriverle attraverso la definizione di appropriate grandezze. Lo studio di un oggetto è talvolta più semplice se diventa uno studio comparato, cioè di confronto fra oggetti diversi, magari simili, ma con proprietà o comportamenti diversi. Ciò permette di operare con strumenti quali quello della classificazione per mettere in evidenza somiglianze e differenze. Mettere zucchero, sale o sabbia in acqua e vedere cosa accade allo scopo di ricostruire i diversi comportamenti per mezzo di una tabella ci permette di arrivare a una prima possibile definizione di soluzione. In questo modo la definizione acquista significato perché è stata costruita dagli studenti stessi e la sua chiarezza deriva dal fatto che è di tipo operativo e quindi riconducibile a un ben preciso procedimento.

Il termine definire può dare luogo a fraintendimenti, tant’è che nei libri di testo spesso si forniscono definizioni da dizionario più che definizioni operative. Si legge in un sussidiario della scuola elementare: “Temperatura: è la misura del calore”. Ovviamente questa definizione è errata, ma anche se fosse giusta non definirebbe proprio niente perché semplicemente “opera” sulle parole.

Le definizione operative hanno un forte aggancio con l’osservazione sperimentale; ad esempio, definire operativamente la combustione richiede un lavoro approfondito di osservazione caratteristico di una scienza sperimentale, che fa concentrare l’attenzione sull’innesco, il residuo, il fumo, la velocità, l’emissione di luce, l’emissione di calore, scartando altri elementi che in quel contesto possono apparire inessenziali. Questo è ben diverso dall’affermare, semplicisticamente, che si verifica una combustione quando le sostanze bruciano. Dal punto di vista della didattica, si arriva alla definizione operativa quando si è costruito il concetto.

E’ vero che la definizione di velocità intesa come spazio percorso diviso tempo impiegato è la stessa sia che venga fornita in classe come punto di partenza sia che venga costruita al termine di un percorso di studio, ma solo in questo secondo caso si può parlare di definizione operativa. Il lavoro di J. Piaget sul movimento e la velocità permette di comprendere chiaramente come la definizione di velocità espressa per mezzo della relazione distanza percorsa fratto tempo impiegato sia insufficiente per lo studente, se non si chiarisce il ruolo di alcuni elementi, spesso trascurati nelle presentazioni tradizionali, quali la traiettoria, il sorpasso, i punti di partenza e di arrivo. Deve essere lo studente che “operando” su distanze, tempi, traiettorie, rappresentazioni grafiche, unità di misura e riflettendo anche sul significato di un rapporto, si costruisce il concetto di velocità.

Questa considerazione ci porta anche a comprendere che non siamo soltanto interessati agli oggetti in quanto tali, ma che la conoscenza deriva spesso dallo studio dell’interazione di un oggetto con gli altri che compongono il sistema. Infine, gli oggetti, in interazione fra loro, o con altri sistemi, possono evolvere mostrando nuovi e inaspettati comportamenti. L’evoluzione del sistema deve essere affrontata con nuove grandezze, può avvenire nell’ambito della reversibilità o della irreversibilità, apre nuove e talvolta inaspettate prospettive.

Presentare un argomento come una sorta di kit in scatola di montaggio dove tutti i pezzi sono già pronti è attendono soltanto di essere montati assieme seguendo le istruzioni fornite, non ha certo un grande valore: si finisce per concentrarsi soltanto sui singoli punti delle istruzioni, perdendo di vista il quadro complessivo. Se forniamo agli studenti la formula per calcolare la velocità, loro avranno uno strumento che ha sicuramente un valore d’uso, ma se questa formula non è il punto finale di un lavoro che ha permesso di seguire e comprendere le varie fasi del processo che porta a quella specifica definizione di velocità, si può star certi che alla prima occasione problematica anche il valore di uso si perde.

E’ necessario prendere coscienza del fatto che un insegnamento delle scienze basato sulla presentazione di risultati finali, con alcuni esperimenti di verifica in laboratorio e molti esercizi di addestramento, è un insegnamento dogmatico e non scientifico. E’ dogmatico perché pretende un atto di fede da parte degli studenti relativamente alle informazioni fornite dall’insegnante, non ammette repliche, è non scientifico perché non permette che si ponga un problema, che si vada a caccia di indizi, che si inventino strategie per scoprire “il colpevole” e si sottoponga a interrogatorio, che si arrivi a una costruzione del sapere condivisa. Come si può pretendere che gli studenti sviluppino la capacità di valutare informazioni, di distinguerle dalle disinformazioni, se sono addestrati per anni a credere a ciò che gli si dice. Questo tipo di didattica, che definisco tradizionale, non rende un buon servizio né allo studente, per i motivi visti sopra, ma neppure alla scienza, che viene così catalogata nella mente dei ragazzi come un’attività noiosa o anche, visto che non si riesce a comprenderla, disumana e pericolosa. Dogmatismo e ignoranza non sono un pericolo soltanto per la scienza, ma minano le basi stesse della democrazia.

L’addestramento non è di per se inutile e dannoso, anzi deve entrare a far parte del bagaglio di abilità che lo studente possiede. Se eseguire misurazioni con la bilancia permette di approfondire la comprensione del problema, è opportuno che gli studenti siano in grado di acquisire automatismi, relativamente allo strumento in questione, dopo aver compreso perché, come e cosa stanno facendo. Non solo non ha senso ripartire tutte le volte da capo, ma acquisire un’abilità per mezzo di un addestramento specifico, permette di indirizzare l’attenzione verso compiti più complessi o dettagli che altrimenti potrebbero essere oscurati. Questo è ovviamente un addestramento ben diverso rispetto all’applicazione di formule in esercizi artificiali. L’acquisizione di procedure specifiche è importante per rilevare quali sono gli atteggiamenti corretti da tenere e quegli da evitare. L’attività operativa in ambito scientifico richiede che si faccia uso di strumenti o procedure che possono essere pericolosi per la propria incolumità o per l’incolumità altrui. Non sarebbe ragionevole trascurare del tutto attività ritenute più problematiche per un malinteso senso del rispetto delle norme di sicurezza. Nessuno deve giocare col fuoco, ma non arriviamo all’opposto di non accendere neppure un fiammifero a causa dei rischi insiti nella fiamma. E’ ovvio che i bambini più piccoli avranno maggiori limitazioni rispetto ai più grandi, ma l’insegnamento scientifico deve offrire la possibilità di riflettere sulla sicurezza, non semplicemente presentando alcune norme di comportamento, peraltro necessarie, ma attivando delle procedure operative, ad esempio in laboratorio, alle quali tutti devono scrupolosamente attenersi. Deve diventare un’abitudine mentale quella di accertarsi che tutto sia in ordine prima di iniziare, che non vi siano oggetti lasciati a giro che possono provocare dei danni, che con le nostre azioni non si rechi danno ad altri, che si indossino abbigliamenti protettivi quando necessario, che non si manomettono i dispositivi perché se ne altera le caratteristiche che li certificano come affidabili. Il nostro è un paese dove ci sono troppe morti sul lavoro dovute a uno scarso rispetto delle norme di sicurezza, facciamo in modo che nel bagaglio di ogni cittadino ci sia spazio anche per queste considerazioni, e l’insegnamento delle scienze è uno degli ambienti privilegiati per far ciò.

 

E’ la cultura della sicurezza

Anche l’applicazione di formule nei classici esercizi di fine capitolo, non è ovviamente da disprezzare, ma non può essere l’unica possibilità fornita allo studente di mettere alla prova il proprio sapere. Inoltre, operando con il solo ausilio degli esercizi finali, non si risponde a domande fondamentali del tipo: “Come faccio a sapere che ...?”, o altre domande del genere indicate da Arons. Interrogarsi circa la validità delle nostre o di altrui conoscenze significa fare un grande passo in avanti nel discernere ciò che ha, o può avere validità, da ciò che è completamente infondato.

Siamo abituati fin da piccoli ad avere rispetto delle opinioni di tutti, ognuno ha il diritto di esprimere liberamente le proprie idee, però dobbiamo essere anche consapevoli del fatto che non tutte le opinioni hanno lo stesso valore. Da questo punto di vista l’insegnamento delle scienze può fornire validi strumenti di pensiero per distinguere opinioni fondate e che possono essere accettate come parte del proprio bagaglio culturale, da pareri completamente campati in aria. Per uno studente possono sembrare punti di vista campati in aria anche quelli incontrati nello studio di alcuni ambiti dell’insegnamento scientifico, se questi non sono stati affrontati nei modi e nei tempi ragionevoli. Niente vieta di presentare in poche ore le leggi della dinamica, ma non possiamo certo aspettarci che alcune lezioni e una manciata di esercizi convincano lo studente della validità della proporzionalità fra forza e accelerazione se ha sempre pensato alla forza come a una sorta di capitale che appartiene al corpo in movimento e per anni ha associato questa idea di forza alla velocità. Perché concetti di tale complessità possano passare occorre che lo studente sia condotto a diventare artefice del proprio cambiamento concettuale.

Lode della lentezza si intitola l’articolo di Hilbert Mayer dell’università di Oldenburg in Germania. Afferma Mayer: più veloce è il ritmo di apprendimento e meno gli argomenti insegnati vengono assorbiti. Più intellettualistica e teorica è la prassi scolastica più gli allievi preferiscono dedicarsi a ogni tipo di fantasiose attività collaterali. Più elevata diventa la pressione del tempo e maggiore diventa la tendenza degli allievi a staccare la spina e a sottrarsi allo sforzo educativo.

In una società dove tutto deve essere rapido, aggiornato, immediatamente fruibile perché altrimenti è già vecchio, è necessario ricollocare le cose al proprio posto nel campo della didattica, affermando che non ci sono scorciatoie o autostrade asfaltate.

Con ritmi da “strada di campagna” anche l’errore acquista un altro significato. Se nell’ottica della trasmissione l’errore indica l’ignoranza dello studente nel ripetere in bella forma il quadro delle conoscenze codificate dall’accademia, nella costruzione della conoscenza gli errori assumono un ruolo propulsivo proprio perché non c’è crescita di competenze senza passare attraverso la possibilità di ipotizzare, di sbagliare e di correggersi.

Per far questo sono necessari tempi molto lunghi durante i quali gli studenti devono essere guidati alla consapevolezza dei propri processi cognitivi, scardinando anche l’abitudine consolidata, di senso comune, a non eseguire una riflessione critica sulla costruzione del proprio sapere. Lo studente deve essere aiutato a diventare l’artefice primo del proprio pensiero critico.

 

E’ la cultura della responsabilità

E non è vero, come si sente talvolta affermare, che gli studenti, specie i più piccoli, hanno la tendenza ad annoiarsi se restano a lungo sullo stesso argomento. Il fatto che uno studente si diverta è sicuramente uno degli aspetti che si deve perseguire nella didattica, essendo però coscienti che divertimento non significa automaticamente comprensione. Comunque, se le lezioni in classe sono puramente verbali o trattano argomenti non alla portata dei bambini è evidente che prima o poi subentra la noia, ma se si fanno lavorare in prima persona, si offrono prospettive diverse anche all’interno dello stesso percorso, si realizzano nuove descrizioni del fenomeno sotto osservazione, allora è abbastanza difficile che subentri la noia. A meno che ad annoiarsi non siano gli insegnanti.

Lo studio della natura è di grande difficoltà, difficilmente si lascia svelare nella sua complessità al primo approccio, eseguire un’esperienza significa cercare di rispondere a una domanda, e l’eventuale risposta acquista significato all’interno di una ben precisa cornice di riferimento. Nell’insegnamento scientifico non si deve ricercare l’uniformità delle risposte a tutti i costi. Analizzando i manuali per l’insegnamento delle scienze, si ha l’impressione, come è stato sostenuto da qualcuno, che si dia per scontato che gli studenti, pur non sapendo nulla di biologia, chimica o fisica, siano in grado di ragionare come biologi, chimici o fisici, ma ciò è impossibile.

            L’assillo di fare “molto è presto” deve essere abbandonato in favore del “poco ma bene”, perché insegnare scienze, ma più in generale insegnare, significa, come indicato dal National Curriculum Inglese creare ambienti di apprendimento efficaci per assicurare la motivazione, la concentrazione e l’eguaglianza di opportunità per mezzo di approcci adeguati. Il linguaggio dà sostanza al pensiero e le azioni del parlare, ascoltare, leggere e scrivere devono essere finalizzate alla costruzione del concetto e non per riportare all’insegnante ciò che l’insegnante ha riferito agli studenti.

Considerare più variabili, ipotizzare nuove possibilità, distinguere i fatti dalle interpretazioni, valutare i risultati ottenuti, comprendere quali sono i limiti di validità, sono tutte pratiche che trovano una concretizzazione in un’attività didattica basata sullo studio dei fenomeni naturali. All’opposto, talvolta l’attività di pensiero è basata sul ragionamento pigro, sulle conoscenze di senso comune e su comportamenti rituali. Si deve permettere lo sviluppo di atteggiamenti che dispongono gli studenti a individuare le proprie linee di ragionamento, ponendo attenzione alle fonti e ai dati a disposizione, riconoscendo eventuali errori commessi e conclusioni ricavate in assenza di informazioni decisive. E’ necessario rendere coscienti gli studenti che non sempre si possono ricavare delle conclusioni dai dati messi a disposizione, o non sempre i ragionamenti sono basati su dati controllati, in questo caso l’insegnamento delle scienze deve favorire la disposizione d’animo che, ammettendo la propria possibilità di errore, comprende le ragioni dell’altro. Se si condividono i criteri non si fa torto alle idee di nessuno se queste vengono abbandonate in favore di altre, soprattutto se si rendono consapevoli gli studenti che le idee accettate sono diventate tali e si sono rafforzate proprio grazie al confronto con le opinioni di tutti. Tutti contribuiscono, nessuno resta escluso.

All’interno della classe si deve realizzare una comunità di persone che riconosce a tutti il diritto di professare le proprie opinioni, coscienti della possibilità di sbagliare e quindi disposti a prendere in considerazioni anche altre possibilità. L’educazione scientifica si configura in questo modo come un’educazione alla tolleranza, non attraverso una discussione che ha per tema il valore della tolleranza, ma come una effettiva pratica democratica.

 

E’ la cultura della tolleranza

L’abitudine alla verifica delle proprie ipotesi e al dibattito all’interno di una comunità consente agli studenti di costruire i principi per una solida cittadinanza in quanto si pongono le basi che permetteranno nel futuro di procedere con le proprie forze, di essere autonomi. Imparare ad apprendere autonomamente deve essere uno degli obiettivi che si la scuola, e l’insegnamento delle discipline scientifiche può svolgere il proprio ruolo. Questo si può fare se si lascia da parte l’accumulo dei dati in favore di un’attività centrata sulla riflessione, sull’analisi della coerenza, sulla verifica dei risultati.

Non seguiamo il consiglio metodologico che fornisce il Gatto ad Alice: Vorresti dirmi di grazia quale strada prendere per uscire di qui? Dipende soprattutto da dove vuoi andare disse il Gatto. Non m’importa molto disse Alice. Allora non importa che strada prendi! disse il Gatto.  Purché arrivi in qualche posto. aggiunse Alice. Per questo stai pure tranquilla, basta che non ti fermi prima.

Non cerchiamo scorciatoie per uscire il prima possibile dal percorso in vista di un risultato finale, consideriamo ogni occasione buona per fermarsi a riflettere. Lavorando su pochi concetti per periodi lunghi si eviteranno anche le amnesie dovute alle conoscenze occasionali di cui tanti docenti si lamentano a inizio d’anno. 

L’ambito scientifico offre numerose possibilità in tal senso, basti pensare alla possibilità di sviluppare ipotesi, costruire quadri di riferimento, percorrere strade diverse per risolvere un problema, analizzare la coerenza dei processi e dei risultati. Qui siamo a un livello molto alto di capacità di pensiero, ma questo deve essere uno degli obiettivi che si propone la scuola anche attraverso l’insegnamento delle scienze. Certo non si può fornire coscienza dei processi di riflessione semplicemente informando gli studenti, piuttosto sviluppando attività sensate fin dalla scuola della infanzia. Soltanto lavorando su lunghi periodi, quindi in molti anni di scuola, su percorsi coerenti e finalizzati a utilizzare le discipline come strumenti per la formazione della cittadinanza, si può sperare di produrre atteggiamenti e modalità di pensiero che non soltanto arricchiscono il singolo studente, ma anche la comunità. Utilizzare l’insegnamento delle scienze come strumento per l’elevamento culturale significa che si tutelano gli studenti e se ne ha rispetto.

 

E’ la cultura della dignità

E’ l’autonomia di pensiero uno dei fini che si deve proporre l’insegnamento delle scienze. L’impressione che talvolta si ha, parlando con amici e conoscenti, è che parte di quello che è stato fatto a scuola non abbia contribuito ad una vera crescita culturale. Dice a questo proposito J. K. Jerome: Per quanto mi riguarda, non capisco una parola di tedesco. L’ho studiato a scuola ma l’ho dimenticato completamente nello spazio di due anni e, da allora, mi sono sentito assai meglio. Facciamo in modo che la didattica delle scienze ribalti questo giudizio.

E’ ovvio che una buona spiegazione e uno studio sistematico a casa sono sempre graditi, ma queste sono condizioni necessarie, non sufficienti per una didattica efficace. La creatività gioca un ruolo importante nell’attività di ricerca che svolgono in classe gli studenti e che deve essere rivolta alla scoperta di soluzioni interessanti, permettendo alla comprensione di abbattere il muro della semplice spiegazione. E quando non ci sono soluzioni è importante essere coscienti degli eventuali disaccordi e incoerenze piuttosto che accettare spiegazioni che sono tali soltanto in apparenza.

In classe gli studenti devono essere chiamati a lavorare su percorsi all’interno dei quali sia loro possibile esprimere dei pareri e costruire un visione comune a livello intersoggettivo, che dia consistenza alla cultura della classe. Non sempre questo sarà realizzabile, all’interno del percorso potranno presentarsi problemi sui quali non sarà possibile determinare un accordo condiviso, ad esempio per la difficoltà di fornire una valutazione dai dati a disposizione o per la differente importanza che si potrà dare ad alcuni aspetti piuttosto che ad altri. In questi casi un atteggiamento corretto potrebbe essere quello di sospendere il giudizio, ma è anche possibile, pur coscienti di tutti i limiti, prendere posizione a favore di una ipotesi senza raggiungere una condivisione fra tutti gli appartenenti alla classe. E’ importante che si dia la possibilità di sostenere il diritto alle proprie fondate convinzioni per sconfiggere il dogmatismo della risposta sempre pronta, costruendo spazi all’interno dei quali ogni individuo può esprimersi. Le descrizioni, le interpretazioni devono evolversi di pari passo, ristrutturando idee vecchie con idee nuove. Non sto tracciando la lode della incertezza, ma quella della nuova possibilità.

 

E’ la cultura della libertà

Tutti hanno necessità che siano sviluppati percorsi di apprendimento che permettano una vera crescita culturale. Le conoscenze accumulate dagli scienziati nei manuali universitari, dai quali discendono i manuali scolastici, rispondono a una loro necessità di sistematicità che va incontro alle esigenze dello specialista ma non a quelle degli studenti che si apprestano a incontrare le scienze. Nella scuola primaria non si insegnano certo le scienze per creare degli specialisti. Nei manuali si perde spesso la profondità storica, non si conoscono i dubbi degli scienziati e i loro tentativi per risolverli se non attraverso una aneddotica banalizzante; a eccezione di alcuni problemi di frontiera si presentano quadri di certezze, non si tiene conto delle abitudini linguistiche e delle esperienze degli studenti.  Leggendo i libri di testo si ha l’impressione che le date che determinano le scoperte scientifiche siano il termine di un processo di ricerca e che da quel momento in poi si disponga di un nuovo concetto. In realtà, a ben guardare, è più probabile che la scoperta sia l’inizio di un processo destinato a evolversi nel tempo.

Da questo punto di vista anche la ricerca di rigore, tanto invocata per le discipline scientifiche, deve essere vista come il punto di arrivo e deve essere intesa come rigore di pensiero, e non come presentazione di risultati con uso di virtuosismi formali.

Parlando del galleggiamento e del principio di Archimede, in genere si forniscono poche righe con la data di nascita e di morte del siracusano, si elencano le invenzioni belliche e si enuncia la famosa frase: “Datemi un punto di appoggio che solleverò il mondo”. A cosa può servire una digressione storica di questo tipo alla formazione del cittadino? Forse a fare bella figura in qualche gioco di società o a vincere un premio in un quiz televisivo. Ben diverso è il ruolo della storia se, senza trascurare date e personaggi, si pongono domande fondamentali che vanno a indagare, oltre ai chi e ai quando, i perché. Per il mondo vivente non si può non domandarsi “a quale scopo?”. L’aspetto storico deve servire a costruire l’idea scientifica e viceversa. In due opere di Galileo, La bilancetta e i Discorso attorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono, lo scienziato pisano affronta il problema del galleggiamento e del peso specifico con riferimento ad Archimede. Nel primo testo Galileo si cimenta con il problema della tentata truffa ai danni di Gerone di Siracusa a proposito della famosa corona, nel secondo testo introduce una conversazione con quelli che Galileo definisce letterati, relativa al galleggiamento del ghiaccio sull’acqua. In entrambi i casi si stabiliscono delle linee di ragionamento estremamente efficaci che ci mostrano come un grande scienziato presenta lo sviluppo delle proprie idee. Allo stesso tempo si fa scienza e storia della scienza, e inoltre si lavora su testi letterari o su parti di testi molto belli, che con l’aiuto dell’insegnante possono essere alla portata anche di studenti della scuola media. Si crea un collegamento fra idee distanti fra loro diciassette secoli, e si comprende l’influenza di Archimede su Galileo, e per le nostre conoscenze, anche quella di Galileo su Archimede.  

La semplice acquisizione di termini tecnici, ancorati a definizioni puramente verbali, serve soltanto a uno sfoggio di erudizione in occasione di qualche interrogazione. Col linguaggio si comunica a noi stessi e agli altri in un incrocio fecondo che genera nuove possibilità e una conoscenza condivisa.

Il fallimento assoluto con la didattica della scienza si ha costruendo una scienza di soli nomi all’interno della quale scompaiono gli oggetti e i relativi concetti. Come dice Galileo, a proposito della gravità: Voi errate, signor Simplicio; voi dovevate dire che ciaschedun sa ch’ella si chiama gravità. Ma io non vi domando del nome, ma dell’essenza della cosa: della quale essenza voi non sapete punto più di quello che voi sappiate dell’essenza del movente le stelle in giro…. Galileo ci fornisce un grande insegnamento quanto sostiene che prima ci sono le cose e solo successivamente i nomi che dovranno adattarsi alla sostanza delle cose e non viceversa.

Il testo scritto ha un grande potere per l’apprendimento, e anche il disegno svolge un ruolo considerevole, tant’è che a un certo punto gli uomini hanno iniziato a scrivere. La scrittura è importante perché facilità la creazione di una tradizione e quindi di una comunità. E d’altra parte questa tradizione a sua volta crea nuove possibilità linguistiche. Anche gli studenti hanno necessità di costruire all’interno della classe una tradizione che permetta la formazione di una collettività che non è semplicemente la somma di tante individualità. Se si favorisce questo effetto di retroazione, l’uso dello scritto non può essere soltanto delimitato alla fase finale del lavoro, alla relazione di verifica, ma deve introdursi all’interno del lavoro stesso, fin dalle prime fasi.

Le classiche relazioni di scienze che gli studenti si trovano a compilare si possono vedere come un testo che permette la comunicazione dell’informazione, ma un testo deve anche avere la funzione di creazione di una “tessitura”. Non si può ridurre tutto alla semplice riflessione dello studente, che come uno specchio, ripiega indietro ciò che gli si fornisce, è indispensabile che lo studente non rifletta, ma rifranga, ci metta del suo. La relazione finale è sul piano informativo, la scrittura cui faccio riferimento è sul piano della creazione di pensiero.

Lo scritto porta verso l’astrazione, la ricodificazione, costringe lo studente a spostare lo stile del testo verso una maggiore organizzazione delle parole; è più difficile, ma salutare perché aiuta a riassumere e schematizzare quello che si ha in testa; inoltre si pongono dei punti fermi che il parlato non determina. Le esperienze dei giovani, la loro aggregazione, vedono tanti momenti sociali che privilegiano lo stare assieme rispetto alla riflessione personale, anche con le inevitabili omologazioni, il testo scritto recupera un’attività individuale di riflessione interiore.

Probabilmente, nella didattica tradizionale, si vedono le scienze come un’attività pratica, basata sul lavoro di gruppo, e quindi sul rapido scambio di informazioni e si trascura, se non per la noiosissima relazione finale, la riflessione individuale scritta. E’ grazie a questa riflessione scritta che tutti gli studenti, autonomamente, danno avvio alla concettualizzazione, ed è ben evidente, per quanto detto, come le discussioni collettive corrano il rischio di rimanere sul livello della superficialità.

Scrivere può rivelarsi un’attività faticosa, ma l’apprendimento richiede impegno e comunque l’abitudine e i risultati ne giustificano l’importanza. Tutti gli studenti devono poter sviluppare le loro idee per contribuire alla costruzione di una conoscenza collettiva in un ottica di una educazione basata sull’eguaglianza ma rispettosa anche delle singole individualità. Troppo spesso a scuola si lavora a favore di una conoscenza privata, individuale, ma la conoscenza è un oggetto multidimensionale che non può essere appiattito su una sola dimensione.

Tutti gli studenti devono avere la possibilità di sviluppare le competenze necessarie a sostenere un sapere sul quale fondare la propria cittadinanza e in grado di produrre nuovo sapere. Lo sviluppo di itinerari significativi, comuni a tutti gli studenti all’interno del percorso scolastico obbligatorio, deve essere inteso a eliminare qualsiasi forma di discriminazione.

 

E’ la cultura dell’eguaglianza

Le metodologie devono essere strettamente collegate con la riflessione sui contenuti facendo anche riferimento alle conoscenze degli studenti, alla loro età, alle disponibilità offerte dalla scuola, alla previsione di sviluppi in verticale e alle trasversalità.

Non credo che avrebbe molto senso uno studio della letteratura italiana portato avanti con l’insegnante che riassume i testi ritenuti fondamentali senza permetterne la lettura agli studenti, eppure questo è ciò che accade nella didattica delle scienze più tradizionale dove gli argomenti trattati arrivano alle orecchie degli studenti per sentito dire. Ma nell’educazione scientifica lo studio della natura deve diventare il testo di riferimento che si insegna a sfogliare e a leggere gradatamente. Il laboratorio deve essere il luogo dove si permette la generazione delle idee tenendo comunque presente che gli avvenimenti fondamentali accadono in un altro laboratorio: la testa degli studenti.

Facciamo in modo che la didattica della scienza non serva a costruire un bel libro dei non ricordi; come dice A. Campanile: Se non ricordi quello che hai fatto, scrivi quel che non hai fatto. Un libro di non ricordi. Non ricordo di aver fatto, il giorno tale, eccetera.

Si deve essere consapevoli del fatto che, mentre affrontare la combustione in un’ora in modo superficiale o affrontarla in un mese in modo operativo fa la sua differenza per lo sviluppo di competenze nel bambino, dedicare due ore o due mesi al mondo microscopico ad esempio per lo studio del radiocarbonio nella scuola elementare o partire dall’atomo per introdurre i fenomeni chimico-fisici, non fa nessuna differenza perché in ogni caso gli studenti, chiamati a lavorare su concetti troppo distanti e astratti, non potranno costruirsi una propria struttura interpretativa.

Non dobbiamo pensare alla testa degli studenti come a una struttura formata da scaffali già pronti per riporre il “sapere”, la crescita della conoscenza non va vista in modo cumulativo, ma organico: si conservano alcune parti, magari modificandole parzialmente, si abbandonano altre per aprire la strada alle nuove.

In una riflessione sul curricolo ogni docente deve rispondere alla domanda: “Perché insegno scienze?”. Ogni studente deve avere il diritto di accesso alla capacità di capire e di valutare e la scuola deve tutelare questo diritto. E’ ovvio che la tutela degli studenti all’interno della scuola passa attraverso la realizzazione di strutture adeguate e il rispetto delle norme sulla sicurezza, ma non si può trascurare una tutela di tipo intellettuale tesa a garantire uno sviluppo fisico, mentale, morale e sociale. La scuola non deve mettere a rischio l’istruzione dei suoi studenti.

 

E’ la cultura della solidarietà

La scuola, come luogo privilegiato dove avviene l’incontro fra studenti e saperi, ha la finalità di permettere la formazione dei giovani cittadini garantendo a tutti effettive possibilità di crescita. Nessun studente può essere considerato colpevole per le proprie conoscenze di senso comune che si scontrano con un’attività di pensiero più strutturata qual è quella scientifica. Anche nel pensiero di senso comune è presente una forma di organizzazione basata su ciò che risulta ovvio, pratico, immediatamente rivelabile con i sensi. E’ un pensiero più fragile rispetto a quello decisamente a maggior densità della scienza. Non è lo studente che deve adattarsi alla descrizione della natura riportata nel manuale universitario, ma è dalla creazione di un terreno fertile, preparato dall’insegnante, che l’incontro fra studente e sapere scientifico produce una riorganizzazione e una crescita del sapere personale fornendo coscienza, spesso assente nel pensiero di senso comune, del mondo che lo circonda. Avere conoscenze prescientifiche non è un reato poi così grave, se ne deve prendere atto e partendo dall’esistente si deve avviare un processo che sposta l’attenzione dalle conoscenze episodiche, di tipo dichiarativo, verso quelle di tipo più operativo, procedurale. Affermare che la materia è formata da atomi è una conoscenza di soli fatti (quando non è una conoscenza di soli termini), avere coscienza delle evidenza che ci permettono di fare un’asserzione di questo tipo è una conoscenza di livello superiore. Non c’è niente di male a fornire semplici informazioni anche ai bambini più piccoli, semplicemente si deve essere consapevoli che non si opera all’interno di quelle che sono le possibilità formative fornite dall’insegnamento scientifico. Ben più grave sarebbe fornire soltanto informazioni, ad esempio, sul mondo microscopico. Lo studente, in mancanza di meglio, non può che riportare la descrizione del mondo microscopico a quella del mondo macroscopico travisandone completamente la natura. E’ molto complesso trattare il mondo microscopico, ma questo vale per quel mondo astratto e formalizzato fuori della portata dei bambini. Niente vieta, ad esempio, al termine di un percorso sulle soluzioni nella scuola elementare, che i bambini possano formulare le loro ipotesi sul sale o sullo zucchero sciolto nell’acqua in termini particellari.

Non infliggiamo punizioni, con insegnamenti incomprensibili.

 

E’ la cultura della giustizia

La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, stabilisce i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini europei e di tutte le persone che risiedono nell’Unione. Si basa sulla suddivisione dei diritti in sei capitoli: Dignità, Libertà, Eguaglianza, Solidarietà, Cittadinanza e Giustizia. Non è sufficienti che i diritti siano sanciti, ogni cittadino europeo deve esserne consapevole e il suo agire deve essere improntato a questi che sono i valori della nostra comunità. Non si può riflettere sul curricolo di scienze senza tenere conto della Carta dei Diritti fondamentali stabiliti dall’Unione europea.