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Il nodo della valutazione

Giuseppe Bagni, docente esperto di educazione scientifica

hbagni@tin.it

 

 

Due visioni a confronto

La costante presenza del tema della valutazione come elemento centrale del dibattito sulla scuola ha reso più evidente come su questo terreno si stiano misurando due modelli contrapposti, che non tagliano nettamente il quadro politico ma lo attraversano trasversalmente. Sono gli stessi gruppi di ricerca promossi negli ultimi anni dai ministri Berlinguer, De Mauro e Moratti a evidenziare questa spaccatura, che per il momento si mantiene ad un livello implicito.

Il gruppo di lavoro sul curricolo di scienze della scuola primaria nella Commissione De Mauro, coordinato da Cogliati Dezza, si è così espresso in merito ai criteri generali per la valutazione delle competenze:

Le schede usuali, con domande a scelta multipla o con parole più o meno corrette da scegliere, con frasi o schemi da completare, non sono sufficienti né affidabili. La valutazione delle competenze scientifiche richiede invece una pluralità di mezzi, alcuni si presentano come sistemi di documentazione di processo (quaderni di lavoro degli allievi, diario dell’insegnante, sbobinature, registrazioni video, ecc.), altre come rilevamenti della capacità di utilizzare in modo significativo specifici concetti e modelli più o meno formalizzati (disegni, grafici e tabelle, rapporti su esperimenti compiuti, racconti, resoconti e verbali, brevi questionari a domande aperte, saggi brevi, ecc.), altri infine, come vere e proprie variazioni sul tema in cui all’allievo viene proposta la gestione completa di una situazione già analizzata, in forma più o meno variata… è opportuno costruire con la collaborazione di ciascun allievo un adeguato “portfolio”… Una posizione, questa, sorprendentemente chiara e critica sulle semplificazioni che dilagano nel campo della valutazione.

A fronte di questo contributo, a distanza di pochi mesi, nella stessa Commissione De Mauro istituita per i curricoli della scuola secondaria, il gruppo di lavoro n°8, che si occupava di valutazione, certificazione e “passerelle”, si esprimeva in termini estremamente diversi. In sintesi, si conferma la classica distinzione tra una verifica vista come processo di raccolta d’informazioni sui risultati raggiunti, a fronte di una valutazione che poi utilizzerà le informazioni acquisite per assumere decisioni educative. Questo approccio, che separa i luoghi e i tempi dell’assunzione dei dati dalla valutazione del loro significato, porta logicamente alle indicazioni che gli strumenti per le verifiche debbono tendere a essere quanto più possibile puntuali, quantitativi, oggettivi o intersoggettivamente confrontabili; la valutazione li deve integrare sul piano qualitativo per metterli in relazione con il contesto… Le verifiche riguardano di solito aspetti molecolari, le valutazioni aspetti globali….

Ne consegue ancora che le verifiche didattiche possono essere condotte… anche da organismi di ricerca esterni a fronte di una valutazione che resta di competenza specifica delle istituzioni scolastiche.

Questa è indubbiamente la posizione più forte, più accreditata a livello accademico, anche se non l’unica, e ruota intorno all’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione. E’ stata coltivata dal governo di centrosinistra e sviluppata, con una continuità non sorprendente, dal centrodestra nella sua ipotesi di revisione della riforma scolastica.

La frattura sembra completa: non ci sono apparenti punti di contatto di questa visione con una che descriva la valutazione come un processo unico e indivisibile, vincolato strettamente tanto allo specifico progetto curricolare, quanto al processo d’apprendimento che si realizza, giorno dopo giorno, in classe.

 

Le interpretazioni delle ricerche europee

Nel campo della valutazione scolastica nel nostro paese si sta certamente pagando una eccessiva semplificazione delle deduzioni ottenute a partire da strumenti e risultati che hanno invece campi di validità ben più ristretti. Questa osservazione appare giustificata soprattutto alla luce del ben diverso atteggiamento che viene raccomandato dagli stessi ricercatori europei dell’OCSE in merito all’uso di standard e test sull’apprendimento.

Ad esempio N.Bottani ha scritto1: mentre vi è abbastanza unanimità nel ritenere che una valutazione del successo scolastico non può e non deve essere ridotta a una valutazione del rendimento dello studente in alcune materie fondamentali, si è rilevato molto difficile raggiungere un accordo sugli aspetti precisi che dovrebbero essere valutati per essere sicuri che la natura sfaccettata dell’educazione sia riconosciuta in tutta la sua complessità.

Nello stesso testo Ivan Ivic ha messo in evidenza come le teorie dominanti della valutazione diano ancora importanza alle conoscenze di tipo riproduttivo, ma non attribuivano nessuna rilevanza al processo di acquisizione della conoscenza.

Ha poi sottolineato che mentre il ruolo fondamentale della valutazione dovrebbe essere quello di funzionare da feedback per il processo educativo, l’impostazione tradizionale si interessa dello stato finale senza preoccuparsi delle modalità con cui si può raggiungere.

Centrale anche il suo riferimento tanto al problema del carattere statico dei modelli di valutazione a scelta multipla: situazioni di valutazione che privano gli studenti degli strumenti che essi usano nelle situazioni di problem-solving nel mondo reale; quanto all’implicita valutazione del processo di formazione delle conoscenze come un processo lineare-additivo2 .

Estremamente significativa appare allora l’osservazione di Carla Fasano sul ruolo che possono svolgere gli indicatori della qualità dell’istruzione: sottolineando l’importanza della diffusione della consapevolezza che un qualsiasi sistema di indicatori è caratterizzato da una certa quantità di non-conoscenze, giunge alla conclusione che …si debbono trovare dei mezzi, quindi, per amministrare le imperfette conoscenze che influiscono sugli attuali sistemi di indicatori e per sviluppare, forse, strategie mirate a gestire la “non-conoscenza”…3 

Il passaggio dalla strategia della programmazione, vincolante e preventiva, alla programmazione di strategie, plurime e flessibili, sembra, quindi, una scelta molto più promettente.

La risonanza immediata e la lettura semplicistica che hanno accompagnato in Italia la divulgazione delle analisi internazionali sui livelli d’apprendimento, non sono certo all’insegna di quella prudenza che viene raccomandata dagli stessi ricercatori del settore. Si presume che dati di carattere macroscopico siano di per sé significativi, mentre occorrerebbe ricordare, come hanno ben scritto Burstein, Oakes e Guiton: .... gli indicatori e i sistemi stessi di indicatori sono entità politiche. La loro costruzione riflette particolari presupposti circa la natura e le finalità dell’educazione, ed essi incarnano spesso convinzioni circa le direzioni che una riforma dovrebbe prendere. Gli indicatori che vengono scelti spingeranno il sistema educativo verso i presupposti e le convinzioni che essi incarnano; in altre parole, ciò che viene misurato ha probabilità di diventare ciò che conta4.

Nella Terza Indagine Internazionale sulla Matematica e sulle Scienze (TIMSS) pubblicata dalla IEA nel 1996, l’impostazione dei questionari era ancora coerente con una visione nozionistica e verbalistica dell’insegnamento scientifico. Pur non avendo l’intenzione di entrare nello specifico delle prove, riportiamo di seguito due esempi di quesiti che erano presenti nello stesso questionario per allievi in uscita dalla scuola media, perché permettono di esplicitare parte delle osservazioni precedenti. Una delle due è stata trasfigurata per rispettarne la codificazione di segretezza, in una forma comunque equivalente:

 

quesito A: Se 7 sta a 13 come x sta a 52, qual è il valore di x?

                a. 7                 b. 13                 c. 28                 d.364           

 

quesito B: Le parole pane, farina e grano possono essere impiegate nella frase:

                           “il pane è fatto con la farina che è fatta dal grano

                  Utilizza le parole molecole, atomi e gas per completare la frase:

                   __ _______ sono compost_ da _______che sono costituit_ da _________         

 

Di questo livello erano la stragrande maggioranza delle prove del settore scientifico, da un lato legittimando ancora, se ce ne fosse stato bisogno, le parole di De Landscheere: sul rischio che la maggior parte dei test a scelta multipla non siano prove di prestazione, ma di recitazione (di pura memoria o di applicazione stereotipata); dall’altro confermando di sottendere ad un preciso modello d’insegnamento: che trascura l’importanza di scegliere quei concetti che possono svilupparsi a partire da un legame con l’esperienza vissuta o vivibile nell’ambito scolastico. In altre parole, non interessa che si sappiano riconoscere relazioni di proporzionalità dentro fenomeni fisici, sapendole poi utilizzare come schemi di ragionamento; né tantomeno che si intuiscano le connessioni che dal mondo macroscopico osservato possano portare alle ipotesi atomiche del mondo infinitamente piccolo, inosservabile.

Sottoporre gli allievi a questo tipo di verifiche -che corrispondono ad una ben precisa valutazione del sapere da acquisire a scuola- significa indicare alle scuole, vogliose di ben figurare nel caso citato delle scienze, di chiudere i laboratori, quelle poche che li hanno, e continuare ad adottare i peggiori libri di testo “bignamizzati” da quelli universitari.

Le ricerche più attuali del CEDE, ad esempio quella del SERIS, non sembrano aver cambiato direzione.

 

Valutazione e modelli didattici impliciti

Antonio Calvani ha sintetizzato in un testo recente l’organizzazione didattica che si è andata affermando intorno agli anni ’60 e che ha sostenuto, traendone a sua volta sostegno, questo modello di verifica-valutazione: l’ha definita il frutto di un  atteggiamento centrato su ‘obiettivi ed unita’ didattiche’ che propone un sistema chiuso caratterizzato da parti reciprocamente vincolate; utilizza strategie di carattere analitico-lineari con sequenze di passi ben definibili e circoscritti. Il taglio è oggettivista e razionalista. Il percorso didattico viene derivato dagli obiettivi secondo un approccio “top-down”: ha carattere sistemico e sequenziale. Il punto di partenza è una “task analysis”: si analizzano le capacità necessarie alla competenza richiesta, si scompongono in sottocapacità

L’apprendimento avviene in forma astratta, decontestualizzata. La valutazione prevede, appunto, l’uso di test d’ingresso, in itinere, alla fine.

A questa strategia Calvani contrappone quella che definisce un atteggiamento centrato su ‘progetto aperto’: si sviluppa a partire dagli anni ’90 e propone un sistema aperto, disponibile ad accogliere l’imprevisto, a ristrutturarsi. Caratterizzato da un atteggiamento sistemico e ricorsivo e dalla consapevolezza della non risolutezza dell’attività progettuale di fronte a dinamiche acquisitive che possono svolgersi con logiche almeno in parte imprevedibili. Il percorso non è né predefinito né lineare, di natura partecipata e flessibile. Gli obiettivi si sviluppano sulla base dei bisogni. Si valorizzano: autonomia progettuale, strategie metacognitive, apprendimento in contesto, costruzione negoziata del significato, ricorsività poliprospettica, cooperazione/distribuzione/alternanza dei ruoli. La valutazione si allontana dal concetto di misurazione “obiettiva” a favore di forme di autovalutazione (dossier, portfolio), di valutazione “situata”, di valutazione “intersoggettiva” (triangolazioni, pluralità di osservatori)

Queste osservazioni si collocano chiaramente in una prospettiva costruttivista molto promettente ed attuale, ma è un modello che stenta ad entrare nella scuola, in particolare nel dominio della valutazione, dove il comportamentismo sembra sopravvivere a se stesso.

D’altra parte De Landsheere riporta le parole di J.Nisbet in un rapporto OCSE-CERI (Manuel sur les indicateurs de l’enseignement, Paris 1991) dove osserva come attualmente si insiste molto sui dati, sia negli indicatori di prestazione, sia nei metodi utilizzati per realizzare valutazioni nazionali. Ma non si insiste abbastanza sulla migliore comprensione della natura dell’apprendimento acquisita in questi ultimi anni…

“...la valutazione in materia di educazione cambierà più nel corso dei prossimi dieci anni che durante i cinquanta anni precedenti. E’ importante che questa evoluzione non sia considerata isolatamente, ma come elemento della riforma generale dei curricoli e che l’obiettivo di un migliore apprendimento preceda sempre l’azione di controllo

Calvani individua quattro generazioni che si sarebbero succedute nella strategia della valutazione. La prima si sviluppa all’inizio del secolo, caratterizzata dal concetto di misura, in cui è lo studente ad essere oggetto di misura. La seconda generazione si basava sul concetto di descrizione, caratterizzata da un’attenzione che si sposta sul curricolo. La terza generazione si basava sul giudizio: faceva ricorso a standard e si avvaleva di un giudice. Rispetto a quest’ultima Calvani nota che sono ormai sorti forti elementi di insoddisfazione. Gli si riconosce un eccessivo managerialismo, la rinuncia ad un possibile pluralismo valoriale, l’eccesso di peso attribuito al “paradigma scientifico”. Calvani poi auspica l’avvento di una quarta generazione: un nuovo atteggiamento che si richiama al costruttivismo e vede nella valutazione un processo sociopolitico, collaborativo, acquisitivo, continuo, ricorsivo, divergente, emergente, impreordinabile, produttivo di realtà.

Ciò che indichiamo con “valutazione” è un continuum che vede ad un estremo forme di misurazione vera e propria, all’altro forme di interpretazione, nel mezzo forme contrassegnabili col termine di “stime”.

In altre parole, tra il rifarsi completamente a criteri e scale di misura formalizzate e preesistenti (misurazione) e il rifiutare completamente qualunque criterio predeterminato (interpretazione) c’è lo spazio per l’adozione di criteri che i matematici chiamano ordinali. Si riconosce, cioè, all’apprendimento di allievi e allieve un certo carattere indefinito e indefinibile, ricercandone tuttavia le soglie: il sapere padroneggiato, già ben strutturato nella mente, e l’apprendibile, il passo possibile successivo.

Questo non significa rassegnarsi, come livello di mediazione accettabile, all’esistenza di un territorio della non-conoscenza, luogo dell’interpretazione libera e totalmente soggettiva, da circoscrivere il più possibile entro i confini di standard di livello, questi sì, misurabili con esattezza. Ad ogni misurazione, in particolare quelle che si realizzano in sistemi complessi, è come se ponessimo sotto un riflettore un preciso aspetto del processo: è la proiezione stessa del cono di luce che crea una zona d’ombra, in cui cadranno altri aspetti scelti implicitamente come secondari.

 

Un’analogia tecnologica

Il controllo reale di un processo richiede sempre l’intreccio di due tipologie di valutazione: una analogica, continua nel tempo e descrittiva dell’intera evoluzione; l’altra digitale, discontinua rispetto alla trasformazione, ma che con il controllo di valori di “soglia” è capace d’indicare prontamente la necessità d’interventi.

Peraltro, è il modo consueto di seguire e documentare i processi nel mondo produttivo.

Un’analogia molto pregnante si trova nella dettagliata descrizione che Gregory Bateson ha condotto sul funzionamento del termostato domestico. Questo piccolo apparecchio è l’interfaccia tra noi e la macchina-caldaia che permette di regolare la temperatura sul valore che desideriamo. Temperatura desiderata, appunto: non frutto di scelta oggettiva, ma soggettiva; quasi una temperatura psicologica che può cambiare da una abitazione all’altra e di momento in momento, a seconda della sensazione personale di freddo o caldo del proprietario. Il valore impostato sullo strumento, allora, è la nostra interpretazione della temperatura esterna. E tuttavia anche lo strumento (il termostato) interpreta la nostra richiesta e la traduce in due valori diversi per la caldaia: le soglie di massima e di minima temperatura ambientale a cui questa risponderà, non graduando il suo comportamento – secondo una modalità analogica - ma semplicemente accendendosi o spegnendosi, con una risposta, cioè, tipicamente digitale.

La nostra impostazione del termostato, quindi, non solo è un’interpretazione soggettiva dei dati climatici, ma non è neanche una misura deterministica della temperatura di casa, visto che realmente la temperatura coinciderà con quella impostata solo di passaggio, salendo e scendendo verso i due valori di soglia. Ha più la natura di un vincolo, di una forma imposta al processo che tuttavia non viene negato, e risulta capace di influenzare il padrone di casa fino al punto di fargli modificare le scelte, quindi la forma stessa.

 

Valutazione come ri-costruzione

Valutare è un’attività intrinseca all’attività della mente; valutiamo costantemente nel senso che selezioniamo alcuni aspetti rispetto ad altri creando dal loro intreccio continue configurazioni di senso8 .

Una valutazione coerente e comprensibile, allora, può costruirsi solo a partire dalla condivisione, tra tutti gli attori della scuola, delle configurazioni di senso private e personali di ciascuno. E’ certamente un processo lento e faticoso, ma ben più significativo dell’inseguire il mito dell’oggettività. Comporta la ricerca un’intersoggettività che ponga le proprie radici nel profondo della professione docente.

E’ l’obiettivo di un’altra soggettività del docente, ma non quello di una “sovrasoggettività” ad essa antagonista; precaria per natura e affidabile solo a strutture – o meglio sovrastrutture - lontane dalla classe e dai suoi percorsi-storie d’apprendimento.

Infine, se valutare è un modo per dare senso al nostro agire, le connessioni con le teorie recenti sul pensiero narrativo sono stimolanti. Vedere nel curricolo la ri-costruzione di una storia degli apprendimenti non solo è un’immagine molto suggestiva, ma pone anche in risalto gli elementi chiave del processo scolastico. La sua valutazione, infatti, consiste nell’analisi dei temi e delle modalità della didattica, per giudicare della pertinenza degli apprendimenti - gli eventi che si concatenano nella storia. Ma ci chiede anche di tener di conto delle dinamiche della classe, come valutazione del contesto che interagisce attivamente con gli eventi e li rende possibili. Pertinenza e contesto, appunto: i termini chiave, irriducibili, di ogni storia ben scritta

Giuseppe Bagni

ITI-IPIA Leonardo da Vinci

Via del Terzolle, 91

50127 Firenze

 

 

 

 

Note

1N. Bottani, A. Tuijnman, Indicatori internazionali dell’educazione: struttura, sviluppo e interpretazione, in OCSE, Valutare l’insegnamento, Roma, Armando, 1994, p.27.

 2 Ivic, Teorie dello sviluppo mentale e valutazione dei risultati scolastici, in OCSE, p. 239

 3 C. Fasano, Conoscenza, ignoranza e utilità epistemica: problemi nella costruzione dei sistemi d’indicatori, in OCSE, op. cit., p. 68

 4 L. Burstein, J. Oakes, G. Guiton, Education Indicators in Encyclopedia of Educational Research, 1992, vol II, p.410.

L. Burstein, J. Oakes, G. Guiton, Education Indicators in Encyclopedia of Educational Research, 1992, vol II, p.410.

 5 A.Calvani, “Elementi di didattica”, Roma, Carocci editore, 2000

 6 G. De Landsheere, Il Pilotaggio dei sistemi educativi, Roma Armando 1998

 7 .Calvani, Elementi di didattica, Roma, Carocci editore, 2000

 8 Calvani, Elementi di didattica, Roma, Carocci editore, 2000.