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Riflessioni sul curricolo verticale di Scienze
Eleonora Aquilini
Vicepresidente DD-SCI
ele.aquilini@tin.it
La scuola oggi di ieri era per pochi, la scuola di oggi è di tutti ma continua ad essere per pochi. In che senso? La scuola di ieri era rivolta, fatta eccezione della scuola elementare che aveva la funzione di educare il popolo, alla formazione della classe dirigente ed aveva come arma di selezione contenuti altamente formalizzati che venivano compresi dai pochi che continuavano a studiare perché destinati dall’origine della famiglia o perché particolarmente meritevoli.
La scuola proponeva e propone, come principale elemento strutturante delle menti, la logica delle discipline nella versione usuale che riguarda la somma dei risultati acquisiti. Questa logica coincide con le modalità di organizzazione di un determinato sapere affinché chi deve appropriarsene tramite lo studio, sia informato in modo rapido dei risultati oggi ritenuti validi. Si hanno così una serie di definizioni, spesso date come dogmi, che divengono sempre più raffinate e complesse a mano a mano che le conoscenze (teorie, leggi) riescono a stabilire nuove relazioni fra gli elementi di partenza. L’alunno entra più o meno faticosamente in tale logica ordinando il suo pensiero sullo schema organizzativo della disciplina. La strutturazione del pensiero avviene imparando a ricalcare la sequenza con cui vengono presentati i risultati della disciplina: definizione degli elementi in gioco, elaborazione contestuale, deduzione della nuova definizione. Questa strutturazione del pensiero “sui calchi di gesso” della disciplina adulta, si può chiamare formazione?
Che cosa ha a che fare questa logica con lo psicologia degli allievi, dei bambini, degli adolescenti?
Prima degli anni 60 questo schema di acquisizione di conoscenze, veniva accettato dai pochi che continuavano a studiare non perché allora fosse valido anche psicologicamente, ma perché in generale il principio d’autorità (incarnato dalla famiglia, dagli insegnanti, dalle composizione della società in classi ben definite) non era messo in discussione quasi da nessuno. L’imposizione dall’alto delle varie forme del sapere era solo una delle manifestazioni di quell’autorità che nessuno discuteva.
Nella società di oggi, in cui l’autorità più sentita è quella del denaro e tutti apparteniamo con maggiore o minore possibilità d’acquisto all’unica classe sociale dei consumatori, il principio d’autorità agisce ben poco a comandare le nostre azioni.
E’ vero che accanto a genitori e figli lontani dall’idea di cultura ci sono tante famiglie che riconoscono “un valore all’istruzione”, ma i figli di entrambe le estrazioni generalmente non accettano più le modalità di trasferimento dall’alto del sapere della disciplina, con la logica di cui abbiamo parlato. Il principio d’autorità non risuona più nella società in cui viviamo e questo tipo d’insegnamento non funziona per nessuno, neanche per le cosiddette eccellenze. Il “logico” della disciplina e lo “psicologico” di cui parla Dewey non andavano d’accordo ieri e non vanno d’accordo oggi. Ieri però veniva accettato, oggi no.
In Come pensiamo leggiamo: “Qualunque insegnante sensibile ai modi in cui il pensiero opera nell’esperienza naturale del ragazzo normale eviterà senza difficoltà tanto l’identificazione del logico con un’organizzazione bell’e fatta della materia di studio, quanto l’idea che per sfuggire questo errore non occorra prestare alcuna attenzione alle considerazioni logiche (…).Vedrà che lo psicologico e il logico, invece di essere opposti o anche indipendenti l’uno dall’altro, sono fra loro connessi come il primo e l’ultimo, o conclusivo, stadio dello stesso processo.”
Uno dei motivi per cui l’insegnamento delle scienze è caratterizzato da un livello d’insuccesso notevole è secondo noi il fatto che non esiste una riflessione che riguardi la distinzione fra il sapere accademico e il sapere della scuola preuniversitaria. La progressiva riduzione della mole di spiegazioni relativa ad un determinato argomento, allo scopo di rendere comprensibile quello che di per sé non lo è in certe età scolari, comporta il salto di passaggi essenziali dal punto di vista del significato e il risultato è un collage di parole chiave con “ponti” logici solo grammaticali. Questa operazione di “riduzione” è effettuata in modo sinergico dall’insegnante e dai libri di testo che sono strutturati in modo da comprendere in poche pagine lo scibile scientifico, a colpi di definizioni che si susseguono l’una all’altra. La riduzione è tanto più grande quanto più il livello scolare è basso. Gli argomenti però sono sempre gli stessi per le elementari, le medie e le superiori.
In altre parole i concetti vengono affidati esclusivamente al linguaggio, alla ricchezza del suo vocabolario, alla logica che intrinsecamente gli è propria. I contenuti della disciplina invece rimangono inintelligibili e le frasi possono essere imparato solo mnemonicamente.Gli alunni diligenti recitano la lezione e gli altri, gli svogliati, si rifiutano e a scienze vanno male. Caratteristico in tutti i livelli di scuola e soprattutto nella scuola di base è il fatto che viene insegnato tutto a tutti, adattando il linguaggio, senza fare scelte nell’ambito della disciplina, senza considerare ciò che è comprensibile ad una determinata età, senza dare importanza all’ordine cronologico con cui sono nate le idee, alla loro genesi. L’importante è invece partire dall’oggi, dalle teorie attuali e spiegare i fatti (esperienze, mondo macroscopico) utilizzando le teorie che riguardano il mondo microscopico.
Il riferimento iniziale ai fenomeno c’è quasi sempre, questo dà un tocco galileiano a cui non si può rinunciare; però se il singolo fenomeno di cui si sta parlando non si conosce è irrilevante, tanto la spiegazione metterà in chiaro tutto ugualmente. Questa mette sempre in gioco particelle che non si possono vedere, mondi piccoli, forze tenaci e audaci, poteri magici che sono traghettati dalla fantasia alla realtà dal peso e dall’autorità del gergo scientifico.
Si può pensare che le storie sul mondo piccolo piccolo vengano credute dai bambini non perché siano comprensibili ma solo per il fatto che appartengono al mondo della Scienza. Tanta autorevolezza e riverenza proviene dal senso comune: con la scienza si possono produrre cose VERE e IMPORTANTI, la scienza è utile e serve, la scienza è la tecnologia. Con questi atti di fede basati su fraintendimenti di concetti complicati e non banali, si alimenta, fra le altre cose, una mentalità che è il contrario di quella scientifica. L’assimilazione della scienza alla tecnologia fa percepire la scienza come magia.
Riporto alcune frasi dall’articolo di Umberto Eco Se la scienza sembra magia pubblicato sul quotidiano “La Repubblica” del 10 Novembre 2002:
“Che cosa è stata nei secoli e che cosa è, come vedremo ancora oggi, sia pure sotto mentite spoglie? La presunzione che si potesse passare di colpo da una causa ad un effetto per cortocircuito senza compiere i passi intermedi… La magia ignora la catena lunga delle cause e degli effetti e soprattutto non si preoccupa di stabilire provando e riprovando se ci sia un rapporto replicabile tra causa ed effetto.
La fiducia, la speranza nella magia non si è affatto dissolta con l’avvento della scienza sperimentale. Il desiderio della simultaneità tra causa ed effetto si è trasferito alla tecnologia, che sembra la figlia naturale della scienza”.
Inoltre viene confusa l’acquisizione di termini con l’acquisizione di concetti. Così l’uso di termini come molecola, atomo, protone elettrone, neutrone, fa sentire partecipi del grande mondo della scienza; la sostanziale incomprensione di questi termini rende misterioso e magico questo universo. Individualmente il tutto si traduce in vuoto conoscitivo perché con quelle parole gli alunni non sono in grado di darsi la spiegazione neanche di un fenomeno semplice, né di tradurre l’esperienza sensoriale in qualcosa di razionale…non riescono ad appropriarsene in alcun modo.
Così le scienze, dai concetti basilari alle teorie più avanzate della chimica, della fisica, della biologia, vengono presentate senza inibizioni storiche ed epistemologiche di alcun tipo. Il linguaggio è rigido e austero perché è un susseguirsi di definizioni ossia di conclusioni del lavoro degli scienziati. Queste sono riassuntive, escludono gli ostacoli e le contraddizioni che ci sono stati lungo il percorso.
Tante definizioni che incedono e incalzano nell’insegnamento veicolato dai libri di testo, caratterizzano la scienza come qualcosa che procede (ma sembra senza tempo), con tanti personaggi (gli scienziati) che fanno scoperte con una logica sola, quella deduttiva.
Gli alunni di solito non recepiscono nulla del lavoro reale che sta sotto la definizione perché il piano del resoconto è diverso dal piano delle vicende che portano alla conclusione. Gli alunni non memorizzano facilmente queste conclusioni e sentono che qualcosa sfugge, che manca l’anima (dicono che la scienza è arida.) e si sentono stupidi perché, tutto sommato, questa logica deduttiva con cui sembra che ragionino i grandi della scienza viene mostrata come facile (almeno da ripetere).
L’autorità dell’insegnante e lo stesso gergo tecnico impongono questa falsa immagine delle scienza dei dogmi e delle conclusioni e si è bravi a scuola se si è capaci di calarsi in una logica che è quella delle deduzioni che provengono dalla struttura delle frasi e di accettare sommessamente qualche assioma.
A chi serve quest’immagine della scienza che traspare dall’insegnamento usuale?
Essendo falsa, non contribuisce ad educare, a formare gli alunni, né è utile al cittadino che in generale dovrebbe avere idee chiare ed essenziali su alcune questioni fondamentali che caratterizzano il mondo in cui vive. In conclusione serve forse solo a selezionare coloro che sono diligenti, che sono abituati a studiare qualunque cosa, da quelli che non studiano per principio e devono essere motivati in mille modi prima di aprire un libro.
L’aridità di cui viene accusato l’insegnamento delle scienze è giustificato dall’asetticità della presentazione: non traspare il ruolo degli esseri umani che, calati nel loro tempo, calati in una storia, lottano per capire e per provare nuove leggi e teorie.
Eppure questa immagine dogmatica della scienza, figlia del positivismo, è stata modificata dalla riflessione epistemologica dell’ultimo secolo che ha sostituito il concetto di verità assoluta ponendo invece al centro la dimensione dell’ipotesi. Fondamentale è stato contributo di Kuhn che, per esempio, ha mostrato che il lavoro degli scienziati si articola all’interno di paradigmi ideologici che vengono sostituiti quando un’idea nuova, rivoluzionaria e “verificata dall’esperienza” viene accettata dalla comunità scientifica e genera intorno a sé un nuovo quadro teorico. L’accettazione del nuovo paradigma non è indolore, perché in realtà non esiste l’autoevidenza della verità; e lo scienziato stesso vede ciò che le sue teorie gli permettono di vedere.
Nel corso degli ultimi decenni, come sottolinea Cambi, “dagli anni sessanta un’altra immagine ha preso corpo un’immagine critica che ha sottolineato lo sviluppo non lineare della scienza oggi e ieri, la sua complessa storicità, il pluralismo metodologico che la connota: il Metodo con la M maiuscola non c’è; in realtà la scienza assume molti metodi e li miscela fra loro, sia sul piano sperimentale sia sul piano logico e il problema dell’oggettività è aperto”.
La varietà dei metodi d’indagine che possono avere molti nomi e contribuire tutti alla ricerca scientifica, la centralità del metodo ipotetico deduttivo evidenziata da Popper, di particolare importanza nei momenti della storia della scienza in cui una teoria cambia il punto di riferimento e la prospettiva futura, non appaiono nell’immagine della scienza che emerge dall’insegnamento usuale.
La riflessione sui metodi della scienza deve però avere accoppiata a riflessioni psicopedagogiche quando si tenta d’introdurre il problema del “metodo” fra i fattori più importanti dell’insegnamento scientifico perché non solo è il modo con cui si vuol far vedere che lo scienziato lavora ma è anche il modo in cui gli alunni riflettono sui fenomeni, sui fatti della scienza in quel momento della loro vita scolastica.
Infatti, la scelta di lavorare con metodologie induttive nella scuola elementare e media è giustificata, a nostro avviso, dalla considerazione che le capacità di astrazione in quelle età sono comunque agganciate alla concretezza e che le capacità di ragionare in modo formalizzato si esprimeranno in età successive. Nelle scuole medie superiori non si tratterà però di riscoprire con metodologie ipotetico deduttive quello che gli scienziato hanno già scoperto ma di capire in quale contesto sono state elaborate le teorie che hanno cercato di risolvere i problemi.
E’ necessario quindi un cambiamento nel modo d’insegnare che tenga conto delle riflessione sulla scienza, e sulla capacità che gli alunni hanno di comprenderla, nei vari livelli scolari.
In generale, al centro della progettazione del rinnovamento ci deve essere “il soggetto che apprende” e deve essere analizzato in ogni suo aspetto il processo d’insegnamento/apprendimento.
Ciò significa passare dalla scuola del programma alla scuola del curricolo. La prima è centrata sulle discipline, sulla loro organizzazione accademica ed enciclopedica, e la progressiva banalizzazione di esse, mano a mano che si scende nei livelli scolari più bassi; costituisce la metodologia didattica d’elezione. La seconda contempla metodologie e modalità relazionali educative adeguate ai vari contesti, individua i saperi essenziali di ogni disciplina comprensibili ad ogni età, sceglie gli strumenti più efficaci per costruire i percorsi curricolari adeguati.
L’ipotesi di curricolo non può fare a meno della riflessione epistemologica, nel senso che la conoscenza delle discipline è indispensabile ma mettere al centro l’alunno significa rivederle smontarle e rimontarle per capire quello che nell’ambito delle discipline può essere insegnato ad una determinata età. Per fare questa scelta occorrono competenze disciplinari in senso stretto, psico-pedagogiche, di didattica disciplinare, avere riflettuto sulla propria esperienza didattica ed essere a conoscenza delle riflessioni più significative in questo ambito nella scuola.
DISCIPLINE DIDATTICHE DISCIPLINARI:
linguistiche Epistemologia
Storiche psicologia dell’età evolutiva
Scientifiche, ecc. e metodologie relative
IPOTESI DI CURRICOLO
SCIENZE DELL’EDUCAZIONE: RIFLESSIONE
SULL’ESPERIENZA
Pedagogia DIDATTICA NELLA SCUOLA
Teorie dell’apprendimento
sociologia dell’educazione
Didattica generale, ecc.
Gli insegnamenti psico-pedagogici che possiamo trarre da Piaget, Dewey, Vygotskij e Bruner, devono essere utilizzati quindi non per fare “buona didattica” di argomenti intraducibili dai bambini sul piano della comprensione ma per scegliere concetti e metodologie adeguati alle varie età evolutive, per considerare, ad esempio, che il punto di vista dei manuali (dal microscopico al macroscopico) non è quello che può essere significativo per il bambini delle scuole elementari e medie. In un periodo della vita in cui è importante essere operativi concretamente per poi interiorizzare gradualmente le azioni, facendole diventare operazioni della mente, ossia pensiero astratto, come si può ritenere efficace un insegnamento scientifico che utilizzi modalità trasmissive di conoscenza e che consideri come punto di partenza il punto di vista microscopico, ossia l’invisibile e l’astratto?
Il problema della relazione adulto- bambino o in generale docente- discente è grande, merita attenzione anche come problema separato dal contesto disciplinare; lo stesso dicasi per i rapporti fra pari all’interno della classe. Ha senso però staccarlo totalmente, come si fa spesso oggi, da cosa e come si insegna? Se l’alunno non è attivo mentalmente, non costruisce il suo sapere insieme ai pari e all’insegnante, partendo da fatti e fenomeni che può osservare, da problemi che su cui può ragionare, ma invece deve ricevere come un vaso vuoto nozioni astruse che non capisce, come può acquistare fiducia in se stesso, come può vedere nell’insegnante un punto di riferimento?
La fiducia in se stessi, l’autostima la si costruisce passando soprattutto attraverso la comprensione profonda di quello che si fa. E si ritorna agli argomenti scelti e alle modalità di lavoro. Se l’interazione reale fra l’oggetto di studio, i compagni l’insegnante funziona, allora questo è un far passare l’affettività attraverso la disciplina o se si preferisce la materia d’insegnamento.
In altre parole la costruzione di un curricolo è cosa laboriosa, non è per niente facile.
La complessità del problema richiede molte competenze (la verticalità è implicita nell’idea di curricolo e nella “crescita” del bambino che sta al centro).
E la finalità è l’alunno, la sua crescita, la costruzione del futuro cittadino Questo è a nostro avviso passare dalla scuola del programma alla scuola del curricolo. Questo è ciò che dovrebbe comportare la realizzazione del curricolo verticale per le scienze o per qualsiasi altro insegnamento.
Bibliografia
F. Cambi (a cura di) L’arcipelago
dei saperi, Progettazione curricolare e percorsi didattici nella scuola
dell’Autonomia, Le Monnier, Firenze, 2000.
C. Fiorentini, E. Roletto
Ipotesi per il curricolo di chimica CnS La
chimica nella Scuola, 2000, XXII (5), p.158-168.
T. S. Kuhn La struttura delle
rivoluzioni scientifiche Einaudi, Torino,1995
J. H. Flavell La mente dalla
nascita all’adolescenza nel pensiero di Jean Piaget Astrolabio, Roma, 1971.
L. S. Vygotskij Pensiero e
linguaggio Giunti - G.Barbera, Firenze,1969.
J. Bruner La cultura
dell’educazione Feltrinelli, Milano,1997.
L. Geymonat Lineamenti di
filosofia della scienza Mondadori, Milano.