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Le
Bioscienze e la Società Contemporanea: le regole della
bioetica in Europa |
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di
Carlo Alberto Redi - Accademico dei Lincei - Lab. di Biologia Animale
- Università degli studi di Pavia |
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Grazie all’avanzamento del sapere scientifico e filosofico
dalle caverne siamo andati sulla luna ed abbiamo sequenziato interi
genomi: la conoscenza ed il sapere ci permettono di vivere come oggi
ci è dato di vivere. La ricerca e le applicazioni tecnologiche
dei saperi che da essa derivano, oltre a nuove conoscenze, portano
alla società benefici culturali, economici e medici e si pongono
oggi come motore dell’evoluzione sociale ed economica dei paesi
avanzati. E’ questo un dato fattuale incontestabile, consolidatosi
attraverso secoli di storia, direi in particolare di storia europea.
Nelle varie epoche, l’Europa ha rappresentato un crogiolo per
l’innovazione scientifica, lo sviluppo sociale e la creazione
artistica grazie ad una dinamica sinergia tra vicinanza geografica
ed unione di varie culture.
La unificazione europea a venticinque paesi, con l’intento
di creare un anello di paesi amici alcuni dei quali candidati prima
o poi all’ingresso nella comunità, cade nel momento
in cui viviamo la “rivoluzione biologica”. Come è accaduto
per tutte le rivoluzioni anche questa non poteva non destare accanto
ad entusiasmi anche timori. L’enorme quantità di conoscenze
che in modo rapidissimo la ricerca biologica va accumulando sta cambiando
profondamente la nostra concezione della salute e della malattia
e persino di cosa sia l’essere umano con accesi dibattiti in
merito a se, come e quanto utilizzare questo patrimonio di conoscenze
per modificare aspetti della vita umana che potrebbero contribuire
ad un miglioramento della qualità della vita stessa, in particolare
dei senescenti (stante l’attuale tasso demografico europeo)
e delle nuove generazioni (grazie alle tecniche di diagnosi prenatale).
Le bioscienze acquistano un ruolo di primo piano nella costruzione
attuale del significato, e della evoluzione, del concetto di cittadinanza:
la piena cittadinanza non può che essere espressione del pieno
accesso, indipendente dal censo e da ogni datità naturale
o culturale, alle opportunità terapeutiche offerte in medicina
dalle bioscienze. Queste ultime vengono così a giocare un
ruolo di primo piano a favore della coesione sociale, fatto di non
trascurabile rilevanza nella dimensione europea.
L’ampia gamma delle questioni sociali, legali, politiche, economiche,
religiose e filosofiche legate allo sviluppo delle scienze della
vita appare dunque uno dei punti centrali di riferimento in un’analisi
delle trasformazioni della società europea. In particolare
modo del ruolo della politica, con la possibilità stessa di
riconoscere valide alternative politiche in una società democratica,
se questa è tesa a sviluppare progetti capaci di promuovere
valori condivisi. In una società multiculturale la presenza
di valori condivisi è un bene incommensurabile.
L’allargamento della comunità ci pone dinnanzi ad una
realtà molto variegata di norme giuridiche preposte a regolare
la pratica della ricerca scientifica, la trasposizione tecnologica
degli avanzamenti del sapere biologico e l’accesso alle nuove
opportunità terapeutiche in biomedicina. Ne deriva la necessità di
sviluppare efficaci politiche che garantiscano a tutti i cittadini
europei l’accesso ai benefici delle nuove tecnologie delle
bioscienze; politiche che auspicabilmente siano basate su principi
etici rispettosi della pluralità di valori espressi dalle
culture dei venticinque paesi così da permettere lo sviluppo
di una normativa omogenea e socialmente orientata al dialogo ed al
confronto di posizioni. L’etica della proibizione e della imposizione
di apriori ideologici o religiosi produrrebbe solo la negazione di
diritti, che attendono alla sfera delle decisioni personali, per
coloro che in base al censo non possono permettersi alcun turismo
etico in un vicino paese, alimentando fratture e disuguaglianze sociali.
Di fronte a questa realtà, l’Università di Pavia,
grazie alla secolare tradizione di eccellenza scientifica (con l’Istituto
Universitario di Studi Superiori e la Scuola Avanzata di Formazione
Integrata), l’aiuto del Collegio Ghislieri e dei collegi storici
e dell’ISU, la sensibilità del corpo docente e del Magnifico)
da alcuni anni sta alimentando a livello europeo lo scambio interpretativo-concettuale
e la diretta interlocuzione tra il mondo delle scienze della vita
ed almeno due testimoni speciali della società civile, i magistrati
ed i giornalisti scientifici. I magistrati poichè sarebbe
bene tentare di far viaggiare la elaborazione della proposizione
giuridica di pari passo con il rapido evolvere delle acquisizioni
della Biologia ed i divulgatori per il grande pubblico al fine di
contribuire a formare cittadini culturalmente preparati che possano
meglio agire e meglio vivere in un mondo che si fa sempre piu' complesso,
piu' inquinato e meno ricco di risorse naturali. L’ambizioso
intento è quello di disseminare un modello di grande dibattito
pubblico sul ruolo della moderna Biologia nelle trasformazioni sociali
delle civiltà occidentali al fine di incrementare la partecipazione
dei cittadini alle decisioni cruciali riguardanti il ruolo delle
scienze della vita nella realizzazione di una societa’ piu’ giusta.
La costruzione di questi nuovi strumenti di comunicazione e di divulgazione
ha avuto una grande eco a livello internazionale e ci si augura che
possano essere adottati come modello più generale così da
poter essere veramente efficaci su larga scala. Ci si augura ben
presto di poter svolgere gli stessi corsi di tipo open-lab anche
per i decisori politici, non tanto per farne dei piccoli biologi!
quanto piuttosto per dare anche a loro quel minimo strumentario concettuale
che oggi tutti i cittadini debbono avere per districarsi nelle difficili
scelte che la rivoluzione biologica ci pone, per permettere a tutti
i cittadini, inclusi i decisori politici, di uscire dalla oscillazione
tra accettazione incondizionata e rifiuto aprioristico di tutto ciò che
si può etichettare come scientifico.
Nella grande Europa finalmente unificata, avanzamento del sapere
ed alfabetizzazione scientifica dei cittadini sono mete da perseguire
unitamente al fine di sviluppare una società democratica basata
su giustizia ed equità: solo cittadini dotati degli strumenti
concettuali per valutare criticamente le nuove frontiere del sapere
scientifico possono garantire un sistema democratico, perchè capaci
di incidere efficacemente e direttamente sul corpo sociale con le
proprie autonome opinioni. Prerequisiti necessari per raggiungere
questi scopi sono lo sviluppo di strumenti di analisi della rivoluzione
operata dalle bioscienze e lo sviluppo di strumenti capaci di esplicitare
al grande pubblico le opportunità offerte dalle biotecnologie:
cittadini ben informati sono garanzia di un forte sostegno all’investimento
di risorse nella ricerca scientifica e di autonomo formarsi di opinioni
che si riflettono in democratiche decisioni di ciò che si
ritiene lecito e di ciò che non si desidera venga applicato.
Un esempio di corretta procedura è certamente quello di recente
adottato dal governo inglese con “il libro bianco della genetica
nel sistema sanitario nazionale” divulgato e spiegato a tutti
i cittadini così da realizzare un controllo democratico dell’elaborazione
di principi e norme etiche rispettose della pluralità di valori.
Se dalla weltanschauung più ideale ed europea ora delineata
passiamo ad analizzare la situazione nel nostro paese, la visione
ideale nella quale vorremmo muoverci si appiattisce ad una realtà ove
questioni etiche, ragionamenti politico-sociali e argomentazioni
di tipo religioso appaiono all’ordine del giorno senza peraltro
contribuire in modo efficace e concreto allo sviluppo di posizioni
equilibrate e ponderate all’interno della società civile.
Anzi, al rovescio, nel nome di principi etici presunti di validità generale
e comunemente accettati vengono elaborate norme che sono il riflesso
di apriori ideologici e religiosi di coloro che tali norme vanno
elaborando e che pertanto si configurano come norme restrittive della
libertà di decidere di sè e più in generale
della libertà di ricerca. L’affermazione progressiva
di questa attitudine sta producendo nel nostro paese significative
modificazioni all’apparato concettuale di analisi della realtà,
modifiche il cui impatto sui sistemi di significati e sugli schemi
di lettura delle questioni sociali, degli scambi politici, delle
dinamiche produttivo-economiche e più in generale e banalmente
sulla vita di tutti i giorni di tutti noi ed in sfere tanto personali è ancora
da verificare ma che non potrà che rivelarsi nefasto. Un solo
esempio può bastare: la legge sulla riproduzione assistita
di recente approvata dove decisori politici si sono arrogati il diritto
di imporre a tutti i cittadini scelte che al massimo possono essere
accettate da una sola parte della società civile. Comportando
una confusione di ruoli inaccettabile: politici, filosofi, teologi
e pensatori di varia estrazione si sono occupati di natura umana
(cosa che dovrebbe competere al solo biologo, al solo medico) e non,
come dovrebbero, della sola condizione umana; con la grave conseguenza
che i cittadini tutti finiscono con il recepire come fatto naturale,
cosa normale, la produzione di significanti alieni alla Biologia
(es. il concepito, la persona) da parte di costoro.
Tutto ciò ritarda l’affermarsi di una riflessione politico-culturale
criticamente adeguata e capace di rielaborare il rapporto tra democrazia
e diritti, tra welfare e democrazia e di individuare i punti di contatto
tra ricerca scientifica, politiche per la scienza e più in
generale di ridefinire il rapporto stato-cittadini-welfare, in una
prospettiva che abbia il suo cardine nell’autonomia dei singoli
sulle scelte bio-esistenziali così da contribuire a ri-orientare
e ri-posizionare soggetti politici, economici e sociali nel dibattito
in corso. E così è sempre più frustrata l’attesa
della società civile, ed in particolare della comunità scientifica,
di un genuino sforzo da parte del mondo dei decisori politici verso
lo sviluppo di alcune direttrici di lavoro capaci di facilitare l’adozione
di politiche in grado di governare l’ampia gamma di implicazioni
sociali e culturali derivanti dalla rivoluzione delle biotecnologie.
A questo riguardo, di estrema rilevanza ed urgenza sono quelli della
governance della ricerca biotecnologica, della ingegneria genetica,
della sperimentazione biomedica, della procreatica e della fine vita.
I decisori politici paiono non cogliere la differenza tra cosa sia
la ricerca e lo sviluppo di nuove tecniche e cosa sia il prodotto
delle nuove tecniche (es, trasferimento di nuclei somatici - cellule
staminali - clonazione). Se sono sordi alla voce degli scienziati,
si mostrano però sensibilisssimi ai richiami di vari pensatori
e di filosofi, anche rispettabilissimi come Jurgen Habermas, che
purtroppo contribuiscono solo a falsare il dibattito ed arrivano
a formulare proposte irricevibili dalla comunità scientifica
e ci si augura dalla società civile. Scrive infatti Habermas
che ciò che costituisce un problema non sono le biotecnologie
e l’ingegneria genetica, ma la modalità e lo spettro
delle loro applicazioni, come critica alla genetica liberale (del
tutto sconosciuta al mondo della biologia: si conoscono genetiche
mendeliane, molecolari, quantitative, etc etc, ma liberali no!) incapace
di fare distinzioni. Il fatto è che gli argomenti che egli
mette in campo contro i pericoli della genetica liberale sono argomenti
contro le biotecnologie e l’ingegneria genetica tout court;
argomenti che non consentono, a suo dire, di fare distinzioni tra
questa o quella applicazione; ed alla fine Habermas suggerisce di
smetterla di pasticciare con il genoma umano, anzi col genoma di
tutti gli esseri viventi, ed invita in termini perentorii (come già Hans
Jonas) a chiudere i laboratori di biologia molecolare! Secondo Habermas
bisogna rendere giuridicamente indisponibile la base stessa dell’etica
di genere, che Habermas individua nella datità naturale della
riproduzione sessuale (naturale). Noi possiamo continuare a pensarci
come persone libere ed uguali solo se viene assicurata l’intangibilità della
casualità della nascita che trova il suo suggello nel casuale
mescolarsi dei geni al momento della fecondazione. Personalmente
non trovo nulla di pregevole nella datità casuale della nascita
(tanto da farne il valore fondante della nostra forma di vita) quando
penso a coloro che, meno fortunati alla roulette genetica, nascono
con difetti genetici che procurano sofferenza e morte precoce. Il
fatto grave è che tali posizioni trovano ascoltatori attenti
tra i decisori politici del tutto digiuni delle benchè minime
basi di biologia: Il ritardo dell'azione educativa ed informativa,
l'analfabetismo scientifico, le tragedie ambientali e sanitarie causate
dalla inefficienza, le dichiarazioni sul disinvolto impiego di alcune
tecniche (la clonazione umana), tutti questi fatti certamente concorrono
a far prevalere nel dibattito pubblico delle problematizzazioni di
tipo etico, sociale e legali delle implicazioni delle ricerche biologiche.
E cosi', un poco per ignoranza ed un poco per rassicurare (a volte
per non dispiacere al Vaticano) i decisori politici tendono ad assumere
posizioni di chiusura danneggiando la ricerca e le sue positive applicazioni
biotecnologiche. Un’Europa aperta sul mondo e dedita ad una
cooperazione senza frontiere per poter affrontare sia le grandi emergenze
dell’umanità (cibo, malattie vecchie e nuove, acqua,
desertificazione) sia i danni ecologici presenti sul suo territorio
(basta pensare al triangolo nero delle emanazioni di zolfo tra Repubblica
ceca, Polonia e Germania) non può essere che promotrice dello
sviluppo delle biotecnologie. Ciò che va chiarito è l’uso
che si può utilmente fare di queste tecniche e la governance
delle stesse (vanno rifiutati i monopoli, non le tecniche che oggi
sono controllate da quei monopoli).
Lo sforzo di tutti noi deve essere quello di far si che le opportunità offerte
dalle biotecnologie siano aperte a tutti i cittadini del mondo ed
a questo riguardo l’Europa ha una grande responsabilità nel
divenire portatrice di istanze di giustizia ed equità sociale
(che deve saper esportare con gli strumenti che meglio sa impiegare
e la caratterizzano: la cultura) basate sulle bioscienze. Per far
ciò non è più possible attardarsi in visioni
nelle quali la ricerca scientifica deve fare i conti, assai più che
in passato, con l’economia e la politica: un’economia
che vede la ricerca con gli occhiali dell’aziendalismo (vedi
la pessima riforma del CNR italiano ed il tentavivo, fallito, di
riforma del CNRS francese) ed una politica che ha smarrito ogni slancio
progettuale e si è appiattita a copertura ideologica della
mera logica del profitto (con la poco etica decisione del MIUR italiano
di lasciare libertà di brevetto a favore dei ricercatori che
quei risultati coperti da brevetto hanno sviluppato con i danari
pubblici).
La unificazione europea ci offre la possibilità di ristabilire,
a livello nazionale di alcuni paesi tra i quali il nostro, e di consolidare,
a livello comunitario la procedura di consultazione della comunità scientifica
quale prerequisito necessario alla elaborazione di qualsivoglia norma
deputata a regolare i rapporti tra cittadini e scienze della vita.
Una tale procedura è garanzia della considerazione del dato
fattuale come base della elaborazione di principi e valori etici
che in tal modo possono essere massimamente condivisibili.
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Collegamenti
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