Il presente brano è tratto dal volume Il caso e la necessità di Jaques Monod, Ed.
Mondadori, 1970
[...] Una volta inscritto nella struttura del DNA, l’avvenimento singolare, e
in quanto tale essenzialmente imprevedibile, verrà automaticamente e
fedelmente replicato e tradotto, cioè contemporaneamente moltiplicato e
trasposto in milioni o miliardi di esemplari. Uscito dall’ambito del puro
caso, esso entra in quello della necessità, delle più inesorabili
deteminazioni. La selezione opera infatti su scala macroscopica, cioè a
livello dell’organismo.
Ancora oggi molte persone d’ingegno non riescono ad accettare e neppure a
comprendere come la selezione, da sola, abbia potuto trarre da una fonte di
rumore tutte le musiche della biosfera. In effetti, la selezione agisce sui
prodotti del caso e non può alimentarsi altrimenti; essa opera però in un campo
di necessità rigorose da cui il caso è bandito.
Da queste necessità, e non dal caso, l’evoluzione ha tratto i suoi orientamenti
generalmente ascendenti, le sue successive conquiste, il dipanarsi ordinato di
cui offre apparentemente l’immagine. D’altra parte alcuni evoluzionisti
post-darwiniani hanno avuto la tendenza di diffondere un’idea impoverita,
ingenuamente feroce, della selezione naturale, cioè quella della pura e semplice
“lotta per la vita” espressione che d’altronde non fu introdotta da Darwin bensì
da Spencer. I neodarwinisti del primo
Novecento ne hanno proposto invece una visione molto più feconda, dimostrando,
sulla base di teorie quantitative, che il fattore decisivo della selezione non è
costituito dalla lotta per la vita, ma dal tasso differenziale di riproduzione
in seno a una specie. I dati forniti dalla Biologia contemporanea consentono
di chiarire e di precisare ulteriormente il concetto di selezione. In
particolare, noi abbiamo, della potenza, della complessità e della coerenza
della cibernetica intracellulare (perfino negli organismi più semplici) un’idea
abbastanza chiara, un tempo sconosciuta, che ci consente di comprendere molto
meglio di prima che ogni “novità” sotto forma di alterazione di una struttura
proteica, verrà innanzitutto saggiata riguardo la sua compatibilità con
l’insieme di un sistema già assoggettato a innumerevoli vincoli che controllano
l’esecuzione del progetto dell’organismo.
Le sole mutazioni accettabili sono dunque quelle che perlomeno non riducono la
coerenza dell’apparato teleonomico ma piuttosto lo rafforzano ulteriormente
nell’orientamento già adottato oppure, certo molto più raramente, lo
arricchiscono di nuove possibilità. È l’apparato teleonomico, proprio come
funziona nell’attimo in cui per la prima volta si esprime una mutazione, che
definisce le condizioni iniziali essenziali per l’accettazione, temporanea o
definitiva, oppure per il rifiuto del tentativo nato dal caso. E proprio la
prestazione teleonomica, espressione globale delle proprietà della rete
d’interazioni costruttive e regolatrici, a essere giudicata dalla selezione. ...
Ed è per questo motivo che l’evoluzione stessa sembra realizzare un ‘progetto’,
quello di prolungare e dare un maggior respiro a un ‘sogno’ ancestrale. Grazie
alla perfezione conservatrice dell’apparato replicativo, ogni mutazione,
individualmente, costituisce un avvenimento molto raro.