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 La ricerca della vita nell’universo  
di Francesco Santini


Che cos’è la bioastronomia? La bioastronomia (o esobiologia, o astrobiologia) è la scienza che si occupa dello studio della possibile esistenza di forme di vita al di fuori del nostro pianeta. Per fare ciò la bioastronomia richiede la collaborazione di persone provenienti da discipline estremamente diverse, come ad esempio astrofisica, chimica dei composti organici, biologia molecolare ed ecologia microbica. Si tratta quindi non tanto di una vera e propria nuova disciplina scientifica, ma di un tentativo di integrare le conoscenze accumulatesi in disparati campi per cercare di risolvere uno dei grandi problemi scientifici e filosofici che da sempre ha affascinato l’umanità. Per oltre duemila anni infatti filosofi e pensatori hanno speculato sulla possibilità dell’esistenza di forme di vita al di fuori del pianeta Terra. Anche in Europa, culla della moderna rivoluzione scientifica ed industriale, l’interesse per l’esistenza di vita extraterrestre è sempre stato grande, come dimostra il clamore provocato verso la fine del secolo scorso dall’annuncio di Giovan-ni Schiapparelli della scoperta dei “canali Marziani”. Schiapparelli, all’epoca direttore dell’osservatorio astro-nomico di Milano, descrisse questi “canali” come strutture geometriche che cambiavano posizione nel tempo, grazie, “senza dubbio”, all’attività di operosi lavoratori marziani. In seguito questi canali risultarono essere semplicemente delle caratteristiche naturali (e decisamente immobili) della superficie del pianeta rosso. La ricerca di vita extraterrestre ha continuato a rappre-sentare una tale sfida per l’intelletto umano che negli anni settanta l’agenzia spaziale americana (NASA) arri-vò a mettere in orbita una serie di sonde per cercare eventuali tracce di vita proprio su Marte (progetto Viking). Queste missioni non riuscirono però ad indi-viduare alcuna traccia di attività biologica. In aggiunta a ciò, grazie al lavoro del chimico inglese James Lovelock, venne la realizzazione del fatto che la pre-senza di organismi viventi sulla superficie di un pianeta causa modifiche dell’ambiente fisico-chimico circo-stante. Questi cambiamenti possono poi essere identi-ficati con una semplice analisi della composizione atmosferica. Simili modifiche non sono state riscontra-te in nessuno dei pianeti o planetoidi del sistema solare, ad eccezione della Terra. Tutto ciò fu quindi interpre- tato come prova del fatto che in nostro é l’unico pianeta che ospita forme di vita, almeno nel sistema solare, e portò all’annullamento di molti dei program-mi di esobiologia della NASA. Dopo le spedizioni Viking la ricerca di vita extraterre-stre continuò soprattutto grazie al progetto SETI (ricerca di intelligenza extraterrestre). Questo progetto, ideato dall’ astronomo e scrittore Carl Sagan, consiste nell’utilizzare potenti radiotelescopi per individuare segnali radio emessi da civiltà aliene. Sebbene nessuno dei gruppi di ricerca sia mai riuscito ad avere un contatto positivo, l’esistenza del SETI ricoprì un ruolo fondamentale nella decisione della società astronomica internazionale di creare, nel 1982, la commissione per la bioastronomia. Questa si riunisce ogni tre anni in un congresso internazionale, al quale partecipano alcune delle più brillanti menti scientifiche mondiali, nel tenta-tivo di fare il punto della situazione e cercare di capire cosa fare per aumentare la possibilità di successo nella ricerca di vita nello spazio. L’ultimo congresso interna-zionale di bioastronomia, dopo quello del 1996 di Capri, si è svolto lo scorso agosto a Kona, nell’isola di Hawaii. Durante questo congresso, che ha visto la partecipazione di numerosi ricercatori italiani, sono state esposte le ragioni che inducono a guardare al futuro della bioastronomia con notevole ottimismo. Queste riguardano: l’identificazione dei primi pianeti extrasolari; l’aumento delle conoscenze riguardanti potenziali meccanismi di origine della vita; la chimica dei meteoriti ed asteroidi; ed infine la scoperta di una serie di eccezionali comunità biologiche non energeti-camente dipendenti dalla fotosintesi. Nuovi indizi Qualsiasi forma di vita ha bisogno di un pianeta con le caratteristiche adatte ad ospitarla (tipo presenza di acqua, temperature non troppo elevate o troppo basse, etc.). Fino al 1995 nessun pianeta extrasolare era noto, mentre negli ultimi quattro anni circa venti pianeti sono stati identificati, e questo numero continua a crescere. Fino ad oggi tutti i pianeti scoperti sono di tipo gioviano, quindi non adatti per forme di vita basate sul carbonio, come abbiamo sulla Terra. Questi pianeti, a causa delle loro grandi dimensioni, possono essere avvistati molto più facilmente di pianeti di tipo terrestre, piú piccoli. E’ comunque ragione di ottimi...

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