Il protocollo di Kyoto e l’effetto Serra

Gli obblighi fondamentali del protocollo di Kyoto (fonte INTERNET)

Il Protocollo di Kyoto impegna i Paesi industrializzati, e quelli ad economia in transizione (i Paesi dell’est europeo), a ridurre complessivamente del 5% le principali emissioni antropogeniche di gas capaci di alterare l’effetto serra naturale del nostro pianeta entro il 2010, e precisamente nel periodo compreso fra il 2008 ed il 2012. Questi gas, detti gas di serra, sono:

  • l’anidride carbonica;
  • il metano;
  • il protossido di azoto;
  • i fluorocarburi idrati;
  • i perfluorocarburi;
  • l’esafluoruro di zolfo

L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990, mentre per i rimanenti tre (che sono anche gas lesivi dell’ozono stratosferico e che per altri aspetti rientrano in un altro protocollo: il Protocollo di Montreal) è il 1995.

La riduzione complessiva del 5%, però, non è uguale per tutti. Infatti per il Paesi della Unione Europea, nel loro insieme, la riduzione deve essere dell’8%, per gli Stati Uniti la riduzione deve essere del 7% e per il Giappone del 6%. Nessuna riduzione, ma solo stabilizzazione è prevista per La Federazione Russa, la Nuova Zelanda e l’Ucraina. Possono, invece, aumentare le loro emissioni fino al 1% la Norvegia, fino al 8% l’Australia e fino al 10% l’Islanda.

Poiché l’attuale andamento delle emissioni dei gas serra sopra citati provenienti dai Paesi industrializzati e da quelli ad economia in transizione avrebbe portato ad una tendenziale crescita complessiva delle emissioni di circa il 20%, la misura decisa a Kyoto di una riduzione complessiva del 5% rappresenta un grande risultato, perché significa che tutti questi Paesi dovranno in realtà procedere ad un drastico taglio delle loro emissioni tendenziali di circa il 25%, vale a dire una riduzione effettiva che è di molto superiore a quanto possa superficialmente apparire ad una prima lettura del Protocollo.

Se analizziamo più in dettaglio gli attuali andamenti, che mostrano una tendenza alla crescita delle emissioni nei Paesi sviluppati ed una tendenza alla diminuzione nei Paesi ad economia in transizione, gli obiettivi imposti dal Protocollo di Kyoto risultano particolarmente gravosi per i Paesi industrializzati ma soprattutto per alcuni di essi quali gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone e la Nuova Zelanda. Per l’Europa, nel suo insieme, lo sforzo per il raggiungimento di questi obiettivi, quantunque importante, appare comparativamente meno gravoso. Particolarmente favorevole, invece, sembra, in termini di obblighi, il risultato ottenuto dall’Australia rispetto agli altri Paesi industrializzati.

Nessun tipo di limitazione alle emissioni di gas ad effetto serra viene previsto per i Paesi in via di sviluppo, perché un tale vincolo, come era stato già discusso a Rio de Janeiro nel 1992, rallenterebbe, o comunque condizionerebbe, il loro cammino verso lo sviluppo socio-economico. Infatti, qualsiasi limitazione alle emissioni di gas serra che si ripercuote poi nella produzione e nei consumi energetici, in agricoltura, nell’industria e negli altri settori produttivi, comporta oneri finanziari e costi aggiuntivi, non solo economici, che i Paesi in via di sviluppo non sono disposti a pagare perché influirebbero negativamente sul loro processo di evoluzione, a meno che tali costi non vengano interamente accollati dai Paesi sviluppati.
Vale la pena osservare, tuttavia, che la crescita delle emissioni di anidride carbonica e degli altri gas serra sta attualmente avvenendo con ritmo che è circa triplo (+25% nel periodo 1990-95) di quello che sta avvenendo nei Paesi sviluppati (+8% nel periodo 1990-95). Ciò vuol dire che attorno al 2010 non solo questo impegno dei Paesi industrializzati verrà vanificato, ma anche che, a tale data, le emissioni mondiali di tali gas serra saranno cresciute complessivamente di circa il 30% in più rispetto ai livelli del 1990. Dunque, il Protocollo di Kyoto, pur essendo un ottimo punto di partenza, potrebbe risultare del tutto inutile, se non si trovano nelle prossime sessioni negoziali della “Conferenza delle Parti” soluzioni adeguate e onorevoli che garantiscano ai Paesi in via di sviluppo di procedere speditamente e senza impedimenti nel loro cammino verso lo sviluppo, ma che garantiscano altresì che gli obiettivi intermedi e finali della Convenzione UN-FCCC vengano effettivamente raggiunti a livello mondiale.
Per la riduzione delle emissioni, il Protocollo individua come prioritari alcuni settori:

  • l’energia, intesa sia come combustione di combustibili fossili nella produzione ed utilizzazione dell’energia (impianti energetici, industria, trasporti, ecc.), sia come emissioni non controllate di fonti energetiche di origine fossile (carbone, metano, petrolio e suoi derivati, ecc.);
  • i processi industriali, intesi come quelli esistenti nella industria chimica, nell’industria metallurgica, nella produzione di prodotti minerali, di idrocarburi alogenati, esafluoruro di zolfo, nella produzione ed uso di solventi, ecc.;
  • agricoltura, intesa come zootecnia e fermentazione enterica, uso dei terreni agricoli, coltivazione di riso, combustione di residui agricoli, ecc.;
  • rifiuti, intesi come discariche sul territorio, gestione di rifiuti liquidi, impianti di trattamento ed incenerimento, ecc.
Ai fini della riduzione delle emissioni di gas serra non va tenuto conto solo dei rilasci in atmosfera dei gas serra provenienti dalle attività umane, ma anche degli assorbimenti che vengono effettuati dall’atmosfera attraverso idonei assorbitori che eliminano tali gas e li immagazzinano opportunamente in modo da non aumentare l’effetto serra naturale. Uno dei principali assorbitori di gas serra, ed in particolare dell’anidride carbonica, è costituito da piante, alberi e, in generale, dall’accumulo di biomassa attraverso la crescita della copertura vegetale. Pertanto, opere di forestazione iniziate dopo l’anno di riferimento, il 1990, vanno tenute in debito conto ai fini del bilancio fra quanto rilasciato in atmosfera e quanto assorbito da boschi e foreste.
Le azioni di forestazione possono essere di due tipi: riforestazione, cioè incrementare la crescita delle foreste su aree che erano già forestali e che incendi boschivi o l’azione umana hanno distrutto o depauperato, oppure afforestazione, cioè impiantare nuovi boschi e nuove foreste su territori potenzialmente idonei o da rendere idonei, ma che in passato non erano sede di boschi e foreste.
La riduzione delle emissioni di gas di serra in atmosfera deve in definitiva essere intesa come riduzione delle “emissioni nette”, vale a dire in termini di bilancio tra quanto complessivamente aggiunto all’atmosfera (rilasciato verso l’atmosfera) e quanto complessivamente sottratto dall’atmosfera (assorbito dall’atmosfera ed immagazzinato).