LA STORIA DI NINFA Presso il laghetto dal quale sgorga il fiume Ninfa, che attraversando l'Agro Pontino, sfocia nel vicino Tirreno, sorse nell'epoca romana un fanum, cioè un tempio sacro alle dee delle fonti, dette Ninfe. L'ipotesi che il tempio si trovasse nei fondali del lago era nata da Plinio; in più la toponomastica del luogo già sembrava prometter bene. A questo si sommava la presenza del ponte romano nei pressi del fiume che nasce dal lago stesso: dunque il tempio doveva essere proprio li. La prima immersione avvenne in pieno inverno con una temperatura d'acqua di soli 5 gradi. Durante il primo sopralluogo vennero analizzate le strutture del ponte medioevale sotto la diga in prossimità della torre, e dei basamenti del manufatto relativo alle case limitrofe. Nel fondo del lago si scopri il selciato del cortile che circondava il tempio e alcuni blocchi in travertino, tutti uguali e ben squadrati, appartenuti al santuario stesso. Il secondo sopralluogo è stato organizzato per realizzare una pianta del sito archeologico e un primo alzato del tempio, tenendo presente tutti i parametri analizzati e non, e per ultimo i moduli dei rocchi di colonne ancora in sito. Il tempio era li e Plinioo aveva detto il vero. Plinio nella sua opera, che viene considerata come il primo trattato di geografia organicamente studiato, narra (Stor. Nat Lib.ll c.95) che nello specchio d'acqua cristallina si potevano osservare isolotti galleggianti simultaneamente al suono di strumenti musicali. Molti altri autori narrano la storia di Ninfa, città che sorgeva all'estremo lembo nord delle paludi Pontine, presso il ridente villaggio di Doganella, ai piedi del monte dove era un tempo l'etrusca Norba. Oggi è detta "La Città Morta" perché da secoli abbandonata. Fu anticamente un centro imperiale e venne ceduta nel secolo VII (anno 741) da Costantino V il Copronimo a papa Zaccaria insieme al territorio di Norma. Nel secolo IX fu occupata dalla famiglia dei conti di Tuscolo e ci volle l'energia di Gregorio VII. per liberare Ninfa dalla prepotenza di questi. Il Papa Pasquale II fece un nobilissimo gesto, non volle conferire il feudo di Ninfa ad un Signore di casato ma al popolo stesso e regalò l'amministrazione e gli obblighi verso il governo centrale con molta larghezza. Ma non durò a lungo poiché dopo pochi anni il conte di Tuscolo Tolomeo era di nuovo qui; aveva preso quasi tutto l'agro Pontino. Ma il Papa Eugenio III nel 1146 gli ritolse Ninfa e la concesse in feudo Cencio e ai nipoti Oddone ed E. Frangipane, col godimento di tutte le rendite solite a percepirsi dalla chiesa. Fu proprio sotto la protezione dei Frangipane che a NinfA fu consacrato e incoronato Papa Alessandro III, nella chiesa di S. Maria Maggiore, di cui, nell'oasi, esistono i ruderi con alcuni dipinti. Alessandro III tornò a Velletri, ove dimorò per un anno intero, ritornandovi l'anno seguente. Tale incoronazione avvenne contro il volere di Federico Barbarossa, il discusso imperatore che ricevette la terribile lezione della Lega Lombarda. Ecco perché, il Papa Alessandro III non potendo essere consacrato Papa a Roma, scelse Ninfa. Ma il Barbarossa si volle vendicare di quest'atto e sotto il comando di Coteolino e di Cristiano di Magonza, mandò le sue truppe per distruggere Ninfa. Le stragi durarono circa otto anni sia a Ninfa che a Roma, il Papa dovette fuggire a Benevento e Ninfa fu distrutta. Non mancò l'occasione in cui lo stesso Barbarossa dovette chiedere perdono al Papa che lo ricevette a Venezia e poi se ne tornò ad Anagni. Ma a Ninfa non mancarono disordini, lotte, risse tra gli abitanti di Ninfa e quelli di Sermoneta, di Sezze, di Cori e di Velletri. Il Papa Innocenzo In tolse il feudo di Ninfa ai Frangipane e lo consegnò a Giacomo Conti; uomo di grande benemerenze e che dava fiducia di mantenere la pace. Nel 1298 (8 settembre), il Comune vendette ogni suo diritto e l'intero patrimonio a Pietro di Roffredo Caetani per 200.000 fiorini d'oro. Pietro Caetani diede grande impulso alla edificazione della fortezza; costruì la grande torre quadrata alta trenta metri che ancora si ammira dallo specchio del ceruleo laghetto sopra un ciuffo di cannadindia gigante. Comprò dai monaci della vicina badia di S. Maria del Monte Mirteto due mulini per cereali ai quali venivano a macinare anche dalle parti di Palestrina oltreché dalle parti vicine. A quei tempi Ninfa era molto bella, era diventata una cittadina veramente splendida. Aveva nove chiese: due fuori le mura dedicate a San Pietro e a San Clemente; sette all'interno: S.Maria Maggiore, S.Biagio, S.Salvatore, S.Leone, S.Angelo, S. Maria delle Marmore , che alcuni vorrebbero identificare con l'abbazia del Valvisciolo. Ma lo storico Vescovo di Velletri Borgia riferisce che era collocata presso l'attuale Doganella e il nome delle Marmore sarebbe giustificato dalle numerose cave di travertino che sono nella zona. Inoltre Ninfa aveva all'incirca 150 case tutte a due piani con un solaio o granaio per riporvi le derrate e le frutta di consumo familiare. Riferisce ancora il P. Saggi che i tetti erano alla romana coi coppi rossi che contrastavano armonicamente coi salici vicini dalle chiome ora verdi ora d'argento a secondo il tremolio impresso dal vento. Entro le stanze, al centro dei muri, spesso erano scavati dei vuoti a forma di tabernacoli per riporvi i lumi e le immagini sacre. Sopra le case si ergevano una decina di torri snelle e robuste, indizio delle famiglie di maggior riguardo che vi abitavano. Ancora si ricordano i casati dei Vari, Scatafassi, Razza e dei Banti. Nel 1382, durante le lotte sorte in seguito allo scisma d'Occidente, la città fini completamente distrutta, né mai più ripopolata, forse anche a causa della malaria. La doppia cinta di mura fornita di torrioni, le chiese dirute, il palazzo del Comune, l'altissima torre, qualche ponte che traversa il fiume, ricordano ancora al turista la vita della città, il suo antico sviluppo l'anirnazione e i traffici che dovevano un tempo palpitarvi. Tutto questo lo si può oggi ammirare, e non mancano visitatori da ogni parte, e ritornare ai secoli passati, ricchi di storia, di gloria e di guerre. La leggenda di Ninfa Molti e molti secoli fa un re era signore di tutte queste terre, ed era ricco e potente, ma per quanto potesse tutto quel che voleva, pur non era mai riuscito ad aprire sino a mare una uscita alle acque che, ristagnando, gli ammorbavano il regno. Ora questo re aveva una bellissima figliola di nome Ninfa, di cui si erano pazzamente innamorati due grandi potentati, il re Moro ed il re Martino. Disse loro il sovrano: "Darò in moglie mia figlia a colui di voi due che sarà primo a scavare un canale che collegherà il mio regno al mare". Senz'altro il re Martino si mise al lavoro e , chiamati a migliaia schiavi e gente del suo regno, prese a scavare un enorme fosso a traverso le dune di sabbia e le selve di quercia che separano le paludi dal Tirreno e, senza interruzione alcuna, proseguì il lavoro. Ed ancora ai giorni nostri si vede l'opera sua in quel gigantesco fosso, che attraversa la grande altura boscosa in vicinanza S. Donato e che dal suo creatore, così si dice, porta il nome Rio Martino. Il re Moro invece non faceva nulla. e se ne rimaneva lì, a braccia incrociate, guardando l'altro lavorare e continuando a fare la corte alla bella Ninfa; ma questa non si curava di lui, perchè tutto il suo cuore era per Martino che tanto spendeva e si affaticava per conquistarla. Ora venne il giorno che il rio di re Martino stava per essere ultimato e Ninfa tutta giuliva si rivolse al re Moro e burlando lo rimproverò di nulla aver voluto fare per conquistarla. Allora questi tolse in mano una bacchetta magica che teneva nascosta nel suo manto e, stendendola verso il Monte Circeo, fece un solo gesto e le terre si abbassarono e si formò un grande solco, per il quale le acque impantanate si misero a scorrere allegramente verso il mare lasciando asciutto rio Martino. Allora Ninfa capì che tutto per lei era perduto, perchè l'arte diabolica di un moro aveva potuto più che non tutti i sacrifizi ispirati dall'amore. Salì sull'altissima torre che si specchia nel lago, so voltò per un'ultima volta verso la distante marina e poi si buttò nelle acque cerulee e di lei non si ebbe più novella. Crede il popolo però che ella, malefica fata, se ne sta ancora laggiù nascosta in fondo alla spelonca.
BIBLIOGRAFIA Titolo: Doganelia di Ninfa, ieri ed oggi, Autore: Don Giovanni Lerose casa editrice: Doganella di Ninfa 1929-I 979, pag.: da 97 a lOO. Titolo: Centri antichi e nuovi della Provincia di Latina, Autore: Pier Giacomo Sottoriva casa editrice: CIPES-Latina, 1977, (Edizione per l'Ente Provinciale per il Turismo di Latina),pag.:170 Autori della ricerca: Paola Calzolari, Nicolina Rota, Andrea Gallinaro |