ERIC HOBSBAWM

 Il seguente estratto mette in luce le opinioni di Eric Hobsbawm circa l’allarmismo nei riguardi del preannunciato cataclisma dovuto ad un aumento, con un fattore (pseudo) esponenziale, della popolazione mondiale.

Il problema più grave oggi non mi sembra quello di produrre abbastanza cibo per sfamare tutti. Negli ultimi cinquant'anni, con tecnologie relativamente più arretrate, il mondo ha prodotto cibo in quantità sufficienti - e forse superiori - a tenere il passo con il triplicarsi della Popolazione. Ricorrendo a metodologie che per gli standard moderni non sono neanche particolarmente ambiziose: per esempio con l'allevamento selezionato, piuttosto che con l'uso delle biotecnologie, di cui oggi cominciamo a disporre. Dunque non vedo ragioni per supporre che nell'immediato futuro questo trend produttivo non possa continuare. Anzi, direi che l'ammontare del cibo già oggi disponibile nel mondo può sostenere un forte incremento della Popolazione. Per questo non mi convince l'argomento delle industrie che producono cibi geneticamente modificati, secondo il quale questo sarebbe l'unico modo di sfamare il mondo. Almeno sulla base delle previsioni attuali di crescita della popolazione, non è così.

Non voglio con questo dire che sono contro le biotecnologie. Dico solo che questo argomento non vale, perché non è alle viste una crisi alimentare. La maggioranza della gente nel mondo, con un paio di sfortunate eccezioni, è oggi meglio nutrita di prima. E c'è un immenso spreco di cibo a causa di una cattiva distribuzione. [...]

[Circa gli effetti sull’ambiente e sull'ecosistema] il discorso è molto diverso. Qui gli effetti ci saranno, e saranno molto gravi. Per la prima volta nella storia, infatti, l'umanità è in grado di prosciugare il serbatoio di alcune risorse non riproducibili. Nessuno, per esempio, avrebbe mai immaginato che avremmo potuto finire il pesce del Mare del Nord. Eppure è accaduto. Voglio dire che siamo oggi in grado di rendere il mondo invivibile: per veleni, per inquinamento, o per il modo in cui l'attività industriale modifica l'atmosfera.

Questa consapevolezza è recente, non c'era prima degli anni Settanta, almeno non su scala globale. E per quanto si sia sviluppata una tendenza deplorevole a trattare questi temi in termini alquanto catastrofici, non c'è alcun dubbio che la capacità del genere umano di degradare l'ambiente è diventata molto pericolosa. Naturalmente, più saremo e più saremo pericolosi.

Prima della metà del Novecento nessuno si preoccupava del destino di fonti di energia non rinnovabili come il carbone. E ugualmente, sino alla fine della seconda guerra mondiale, pochi temevano l'esaurimento del petrolio. Oggi possiamo essere un po' più tranquilli, perché sappiamo che risorse alternative sono state scoperte. Ma resta vero che quelle vecchie non sono rinnovabili. Una volta che sono state usate fino all'ultima goccia, non ci sono più. E benché sia improbabile che le esauriremo entro i prossimi decenni, e forse c'è già stata una discussione del genere a proposito delle tribù delle foreste amazzoniche. La questione del governo del l'ambiente è diventata un problema sempre più pratico che teorico, qualcosa che richiede risposte concrete.

Supponiamo che non sia possibile prendere un pezzo del mondo e conservarlo com'era. La storia dell'America ci dice che, in linea teorica, è possibile. Ed è una storia da prendere sul serio, perché, pur avendo rovinato il proprio ambiente più di ogni altra civiltà, gli americani sono anche i pionieri nelle politiche di conservazione dei Parchi Nazionali.

Ma supponiamo - ripeto - che non sia possibile. Ebbene, io penso che noi dobbiamo imparare nel XXI secolo a considerare grandi parti del mondo per quello che sono: un ambiente già semi-artificiale. Per esempio: stiamo appena cominciando a scoprire che i sobborghi residenziali delle città, questi agglomerati di casette monofamiliari con giardino, così comuni in Inghilterra e in Nord America, sono un ambiente estremamente adatto alla fauna selvatica. Forse il miglior ambiente possibile per gli uccelli. Ce ne sono di più in un quartiere periferico di una città inglese che in un'area agricola, dove vengono sterminati dai fertilizzanti. Dobbiamo insomma metterci in testa che cambiare la faccia del mondo non comporta necessariamente una perdita totale. Che ci possono essere cambiamenti orizzontali nell'ambiente, e non solo drastici movimenti verticali, dal meglio al peggio.

Un altro aspetto di queste possibilità, che stiamo già sperimentando, è molto visibile in Gran Bretagna. Che cosa accade quando le industrie muoiono? Anche qui abbiamo assistito a una tendenza a costruire musei, la cosiddetta archeologia industriale. Ma più interessanti sono i tentativi di restaurare l'ambiente che la prima industrializzazione aveva modificato. Penso che sia sempre più possibile riabilitare larghe aree del mondo che oggi sembrano completamente rovinate a causa dell'industria. Provi ad andare oggi nel Sud del Galles, una zona dove c'è stata una grande concentrazione di miniere, e dove trenta o quaranta anni fa neanche un albero poteva crescere a causa dell'inquinamento. Be', chi visita oggi la Swansea Valley rischia di non riconoscere più i luoghi, stenta a credere che lì ci sia mai stata un'industria, che in quelle valli si ammucchiavano in condizioni malsane centinaia di migliaia di minatori. Oggi è uno splendido paesaggio rurale.

 

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